Il presente saggio analizza il rapporto tra Ovidio e Primo Levi, rintracciando dapprima i punti in cui il poeta latino emerge nelle pagine del chimico-scrittore ed analizzandone poi l’importanza per l’opera primoleviana. La frequentazione, secondo un’analisi genetica del Sistema periodico, rivela tre crescenti picchi di persistenza nel corso degli anni Settanta: a partire da Argon (1970-73), il cui manoscritto riportava in esergo una citazione dai Tristia poi espunta; passando per Stagno (aprile 1972), che contiene una citazione letterale delle Metamorfosi; risalendo fino a Carbonio (settembre-ottobre 1972), dedicato alla «microstoria» di un atomo, si rivela una pista la cui corona si costituisce con la Chiave a stella (1978), in un capitolo della quale Levi riprende l’ibrida figura di Tiresia in relazione al mutamento di identità, condizione ed esistenza. Levi, che dalla mitologia classica aveva già preso in prestito la maschera del Centauro, si intreccia ora alla figura dell’indovino tebano, trasformato in donna e poi ridivenuto uomo, reso cieco ma profeta, con l’intento di iconizzare tanto la sua natura dimidiata di chimico e scrittore quanto la sua personale metamorfosi, entro i reticolati, che gli ha cambiato la vita. Nella seconda parte del contributo si ricostruisce il dialogo intertestuale con questa figura, verificando, come suggeriscono altri studi, l’ascendenza ovidiana della versione utilizzata. Seguendo la ri-narrazione del mito, che non è una semplice epitome dacché contiene osservazioni e commenti personali del Narratore (oltre alla sovrapposizione con l’esperienza di Levi), si osserva filologicamente il residuo del lessico delle Metamorfosi filtrato nella riscrittura primoleviana, per poi soffermarsi sui punti di rielaborazione o ampliamento del mito, confermando così la paternità ovidiana della versione mitologica che Levi sceglie di cesellare.
Primo Levi e Ovidio. «Nel mondo delle cose che mutano»: tra racconto metaforico e mito metamorfico
Mattia Cravero
First
2020-01-01
Abstract
Il presente saggio analizza il rapporto tra Ovidio e Primo Levi, rintracciando dapprima i punti in cui il poeta latino emerge nelle pagine del chimico-scrittore ed analizzandone poi l’importanza per l’opera primoleviana. La frequentazione, secondo un’analisi genetica del Sistema periodico, rivela tre crescenti picchi di persistenza nel corso degli anni Settanta: a partire da Argon (1970-73), il cui manoscritto riportava in esergo una citazione dai Tristia poi espunta; passando per Stagno (aprile 1972), che contiene una citazione letterale delle Metamorfosi; risalendo fino a Carbonio (settembre-ottobre 1972), dedicato alla «microstoria» di un atomo, si rivela una pista la cui corona si costituisce con la Chiave a stella (1978), in un capitolo della quale Levi riprende l’ibrida figura di Tiresia in relazione al mutamento di identità, condizione ed esistenza. Levi, che dalla mitologia classica aveva già preso in prestito la maschera del Centauro, si intreccia ora alla figura dell’indovino tebano, trasformato in donna e poi ridivenuto uomo, reso cieco ma profeta, con l’intento di iconizzare tanto la sua natura dimidiata di chimico e scrittore quanto la sua personale metamorfosi, entro i reticolati, che gli ha cambiato la vita. Nella seconda parte del contributo si ricostruisce il dialogo intertestuale con questa figura, verificando, come suggeriscono altri studi, l’ascendenza ovidiana della versione utilizzata. Seguendo la ri-narrazione del mito, che non è una semplice epitome dacché contiene osservazioni e commenti personali del Narratore (oltre alla sovrapposizione con l’esperienza di Levi), si osserva filologicamente il residuo del lessico delle Metamorfosi filtrato nella riscrittura primoleviana, per poi soffermarsi sui punti di rielaborazione o ampliamento del mito, confermando così la paternità ovidiana della versione mitologica che Levi sceglie di cesellare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.