Non convertendo la proroga al 31 luglio in precedenza disposta con un decreto-legge, il Parlamento ha di fatto anticipato di un mese, al 30 giugno 2020, la fine della seconda fase emergenziale nel campo dell’amministrazione della giustizia. Il pieno ritorno alla normalità in questo settore è però rimasto lontano. Innanzi tutto, l’anticipo è stato temperato dalla previsione, contenuta nella legge di conversione, della salvezza degli «effetti prodottisi» e dei «rapporti giuridici sorti» sulla base della precedente disciplina. In secondo luogo, gli uffici giudiziari avevano ormai già pianificato gran parte della propria attività proprio sulla base di tale precedente disciplina. E ciò in un prospettiva temporalmente ampia, superando di slancio la sospensione estiva dei termini processuali. Ma soprattutto, le perduranti problematiche in merito allo smart working del personale amministrativo e l’inconsistenza dei palliativi attraverso cui si dovrebbe realizzare un recupero di efficienza (tra cui l’introduzione di una nuova forma di mediazione obbligatoria per le controversie civili in cui si alleghi che l’adempimento sia stato turbato dall’emergenza epidemiologica), non lasciano ben sperare nel riassorbimento o anche solo nel contenimento di un arretrato sempre più preoccupante. In buona sostanza, perdurando l’inerzia rispetto all’adozione di misure ormai indifferibili, come una migliore gestione del lavoro di giudici e cancellieri, il potenziamento dei sistemi informatici, il reale adeguamento della Cassazione e del Giudice di pace al processo civile telematico, il consenso prestato dal Governo alla mancata proroga della seconda fase dell’emergenza si è tradotto in una operazione meramente nominale, di scarsissimo effetto sull’esistente e del tutto inidonea ad affrontare il futuro.

La fine anticipata della seconda fase e la ripresa dei processi dopo il Covid-19

dalmotto
2020-01-01

Abstract

Non convertendo la proroga al 31 luglio in precedenza disposta con un decreto-legge, il Parlamento ha di fatto anticipato di un mese, al 30 giugno 2020, la fine della seconda fase emergenziale nel campo dell’amministrazione della giustizia. Il pieno ritorno alla normalità in questo settore è però rimasto lontano. Innanzi tutto, l’anticipo è stato temperato dalla previsione, contenuta nella legge di conversione, della salvezza degli «effetti prodottisi» e dei «rapporti giuridici sorti» sulla base della precedente disciplina. In secondo luogo, gli uffici giudiziari avevano ormai già pianificato gran parte della propria attività proprio sulla base di tale precedente disciplina. E ciò in un prospettiva temporalmente ampia, superando di slancio la sospensione estiva dei termini processuali. Ma soprattutto, le perduranti problematiche in merito allo smart working del personale amministrativo e l’inconsistenza dei palliativi attraverso cui si dovrebbe realizzare un recupero di efficienza (tra cui l’introduzione di una nuova forma di mediazione obbligatoria per le controversie civili in cui si alleghi che l’adempimento sia stato turbato dall’emergenza epidemiologica), non lasciano ben sperare nel riassorbimento o anche solo nel contenimento di un arretrato sempre più preoccupante. In buona sostanza, perdurando l’inerzia rispetto all’adozione di misure ormai indifferibili, come una migliore gestione del lavoro di giudici e cancellieri, il potenziamento dei sistemi informatici, il reale adeguamento della Cassazione e del Giudice di pace al processo civile telematico, il consenso prestato dal Governo alla mancata proroga della seconda fase dell’emergenza si è tradotto in una operazione meramente nominale, di scarsissimo effetto sull’esistente e del tutto inidonea ad affrontare il futuro.
2020
27giugno 2020
27giugno 2020
1
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Diritto processuale civile, Ammistrazione della giustizia, Processo civile, Diritto processuale dell'emergenza, Coronavirus, Covid.19, Interventi
dalmotto
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