Il capitolo introduttivo affronta i problemi definitori del pubblico dominio con riferimento alle principali privative industrialistiche, per poi concentrarsi, in particolare, sul rapporto con il diritto dei marchi. Esso dà conto delle principali iniziative mosse a livello internazionale per studiare le interazioni tra diritto dei marchi e pubblico dominio e si conclude con l’individuazione degli interessi collegati alla salvaguardia di un pubblico dominio ricco ed accessibile e delle minacce a tale interesse, ravvisabili nella tendenza all’espansione e al cumulo delle tutele. La durata tendenzialmente illimitata del diritto e la revocabilità dello status di pubblico dominio di un segno, caratterizzano il diritto di marchio rispetto alle altre privative industrialistiche per non avere una struttura di per sé favorevole e predisposta alla salvaguardia del dominio pubblico. Tale limite strutturale è però temperato dal legislatore mediante la previsione di limiti alla possibilità di acquisizione del diritto, nonché alla sua portata una volta acquisito. I capitoli II e V si occupano dei meccanismi che il diritto dei marchi prevede al fine di garantire spazi di pubblico dominio cui gli operatori del mercato possono liberamente attingere senza perciò interferire con l’area dei diritti di esclusiva dei titolari di marchio. Il capitolo II, in particolare, si occupa dei meccanismi di salvaguardia del pubblico dominio costituito dai segni esclusi dalla registrazione. I singoli impedimenti alla registrazione sono presi in esame evidenziandone la scarsa capacità escludente anche alla luce della tendenza all’estensione dell’oggetto della tutela di marchio, evidenziata attraverso una rassegna dei principali marchi-non convenzionali cui negli anni è stata concessa tutela. Tra tali meccanismi di salvaguardia del pubblico dominio spazio centrale è dedicato al principio dell’imperativo di disponibilità dei segni distintivi. Tale dottrina è stata elaborata dal formante giurisprudenziale tedesco sotto il nome di “Freihaltebedürfnis” (letteralmente “necessità di mantenere libero”) e fatta propria dalla dottrina anglosassone come “right to keep free” e sostiene, almeno nel suo impianto originale, la necessità di subordinare la registrazione di un marchio ad una previa valutazione di opportunità che il segno per cui si domanda tutela debba rimanere in pubblico dominio, ovvero liberamente appropriabile dalla collettività. Oggi è più che mai in dubbio quale sia il ruolo di questo principio all’interno del diritto comunitario dei marchi. Il capitolo III illustra l’iter della giurisprudenza comunitaria con riferimento alla questione del riconoscimento e della rilevanza dell’imperativo di disponibilità nel giudizio di registrazione. L’analisi evidenzierà come la Corte sia giunta a conclusioni differenti a seconda del diverso impedimento alla registrazione oggetto di interpretazione, con risultati considerati irragionevoli da larga parte della dottrina e non banali difficoltà e incertezze applicative per gli Uffici di registrazione. Nonostante ciò si evidenzierà l’emergere di una linea interpretativa comune alla maggior parte delle decisioni analizzate, tesa a riconoscere un ruolo effettivo all’imperativo di disponibilità nel giudizio di registrazione, seppur solo di carattere strumentale alla valutazione di distintività di un segno. Il capitolo IV illustra come il recente progetto di riforma di Direttiva e Regolamento comunitari non abbia colto l’opportunità di positivizzare tale principio, restando insensibile alla proposta originaria formulata dallo Studio del Max Planck Institut diMonaco di Baviera di inserire un riconoscimento espresso del suo operare all’interno del giudizio di registrazione. Conclusa la prima parte del lavoro dedicata alle interazioni tra il principio di disponibilità dei segni distintivi e la registrazione di marchio, nel capitolo V si entrerà nel terreno meno battuto dei riflessi che lo stesso principio dispiega nei confronti del giudizio di contraffazione. Dopo aver analizzato i diversi meccanismi previsti dal legislatore al fine di salvaguardare il pubblico dominio costituito dalle libere utilizzazioni di un segno registrato, si darà conto della loro scarsa capacità escludente e delle conseguenti minacce che la tutela assoluta prevista per i casi di contraffazione per doppia identità e quella aggravata del marchio che gode di rinomanza pongono alla salvaguardia dello spazio di pubblico dominio, specialmente con riguardo ai numerosi casi in cui il marchio altrui è utilizzato per scopi “atipici”, ovvero non chiaramente distintivi dell’attività imprenditoriale e dei beni o servizi dell’avente diritto. Con riferimento ad essi, l’interprete ha l’arduo compito di capire, di volta in volta, se sia maggiormente meritevole di tutela il titolare di marchio nel suo interesse di escludere i terzi dall’utilizzo del proprio segno, o i terzi stessi nell’interesse antagonista di fare uso del segno per finalità descrittive, espressive, decorative ecc. La giurisprudenza non ha offerto alcuna interpretazione univoca di questo bilanciamento, stentando a tracciare lo spartiacque tra usi leciti ed illeciti del marchio altrui. Molti di questi casi sono allora stati risolti dalla giurisprudenza ricorrendo, per sancirne la liceità, ad un principio di “necessità dell’uso” che porta nel giudizio di contraffazione gli stessi interessi di libera disponibilità presenti in sede di registrazione. Anche all’interno del giudizio di contraffazione, tuttavia, tale interesse resta sostanzialmente un oggetto misterioso per la Corte di Giustizia, che resta ancorata alla contraddizione che vede tale interesse confinato ad operare come principio interpretativo generale della normativa, privo però di qualsiasi implicazione concreta ed effettiva nel giudizio di registrazione e di contraffazione. In conclusione si suggerisce la necessità di sciogliere questo paradosso e si individua nella proposta del Max Planck un’occasione inspiegabilmente mancata per farlo.
SEGNI DISTINTIVI E PUBBLICO DOMINIO: IL RUOLO DELL’IMPERATIVO DI DISPONIBILITÁ NELLA REGISTRAZIONE E NELLA TUTELA DEL MARCHIO
ciani Sciolla Jacopo
2016-01-01
Abstract
Il capitolo introduttivo affronta i problemi definitori del pubblico dominio con riferimento alle principali privative industrialistiche, per poi concentrarsi, in particolare, sul rapporto con il diritto dei marchi. Esso dà conto delle principali iniziative mosse a livello internazionale per studiare le interazioni tra diritto dei marchi e pubblico dominio e si conclude con l’individuazione degli interessi collegati alla salvaguardia di un pubblico dominio ricco ed accessibile e delle minacce a tale interesse, ravvisabili nella tendenza all’espansione e al cumulo delle tutele. La durata tendenzialmente illimitata del diritto e la revocabilità dello status di pubblico dominio di un segno, caratterizzano il diritto di marchio rispetto alle altre privative industrialistiche per non avere una struttura di per sé favorevole e predisposta alla salvaguardia del dominio pubblico. Tale limite strutturale è però temperato dal legislatore mediante la previsione di limiti alla possibilità di acquisizione del diritto, nonché alla sua portata una volta acquisito. I capitoli II e V si occupano dei meccanismi che il diritto dei marchi prevede al fine di garantire spazi di pubblico dominio cui gli operatori del mercato possono liberamente attingere senza perciò interferire con l’area dei diritti di esclusiva dei titolari di marchio. Il capitolo II, in particolare, si occupa dei meccanismi di salvaguardia del pubblico dominio costituito dai segni esclusi dalla registrazione. I singoli impedimenti alla registrazione sono presi in esame evidenziandone la scarsa capacità escludente anche alla luce della tendenza all’estensione dell’oggetto della tutela di marchio, evidenziata attraverso una rassegna dei principali marchi-non convenzionali cui negli anni è stata concessa tutela. Tra tali meccanismi di salvaguardia del pubblico dominio spazio centrale è dedicato al principio dell’imperativo di disponibilità dei segni distintivi. Tale dottrina è stata elaborata dal formante giurisprudenziale tedesco sotto il nome di “Freihaltebedürfnis” (letteralmente “necessità di mantenere libero”) e fatta propria dalla dottrina anglosassone come “right to keep free” e sostiene, almeno nel suo impianto originale, la necessità di subordinare la registrazione di un marchio ad una previa valutazione di opportunità che il segno per cui si domanda tutela debba rimanere in pubblico dominio, ovvero liberamente appropriabile dalla collettività. Oggi è più che mai in dubbio quale sia il ruolo di questo principio all’interno del diritto comunitario dei marchi. Il capitolo III illustra l’iter della giurisprudenza comunitaria con riferimento alla questione del riconoscimento e della rilevanza dell’imperativo di disponibilità nel giudizio di registrazione. L’analisi evidenzierà come la Corte sia giunta a conclusioni differenti a seconda del diverso impedimento alla registrazione oggetto di interpretazione, con risultati considerati irragionevoli da larga parte della dottrina e non banali difficoltà e incertezze applicative per gli Uffici di registrazione. Nonostante ciò si evidenzierà l’emergere di una linea interpretativa comune alla maggior parte delle decisioni analizzate, tesa a riconoscere un ruolo effettivo all’imperativo di disponibilità nel giudizio di registrazione, seppur solo di carattere strumentale alla valutazione di distintività di un segno. Il capitolo IV illustra come il recente progetto di riforma di Direttiva e Regolamento comunitari non abbia colto l’opportunità di positivizzare tale principio, restando insensibile alla proposta originaria formulata dallo Studio del Max Planck Institut diMonaco di Baviera di inserire un riconoscimento espresso del suo operare all’interno del giudizio di registrazione. Conclusa la prima parte del lavoro dedicata alle interazioni tra il principio di disponibilità dei segni distintivi e la registrazione di marchio, nel capitolo V si entrerà nel terreno meno battuto dei riflessi che lo stesso principio dispiega nei confronti del giudizio di contraffazione. Dopo aver analizzato i diversi meccanismi previsti dal legislatore al fine di salvaguardare il pubblico dominio costituito dalle libere utilizzazioni di un segno registrato, si darà conto della loro scarsa capacità escludente e delle conseguenti minacce che la tutela assoluta prevista per i casi di contraffazione per doppia identità e quella aggravata del marchio che gode di rinomanza pongono alla salvaguardia dello spazio di pubblico dominio, specialmente con riguardo ai numerosi casi in cui il marchio altrui è utilizzato per scopi “atipici”, ovvero non chiaramente distintivi dell’attività imprenditoriale e dei beni o servizi dell’avente diritto. Con riferimento ad essi, l’interprete ha l’arduo compito di capire, di volta in volta, se sia maggiormente meritevole di tutela il titolare di marchio nel suo interesse di escludere i terzi dall’utilizzo del proprio segno, o i terzi stessi nell’interesse antagonista di fare uso del segno per finalità descrittive, espressive, decorative ecc. La giurisprudenza non ha offerto alcuna interpretazione univoca di questo bilanciamento, stentando a tracciare lo spartiacque tra usi leciti ed illeciti del marchio altrui. Molti di questi casi sono allora stati risolti dalla giurisprudenza ricorrendo, per sancirne la liceità, ad un principio di “necessità dell’uso” che porta nel giudizio di contraffazione gli stessi interessi di libera disponibilità presenti in sede di registrazione. Anche all’interno del giudizio di contraffazione, tuttavia, tale interesse resta sostanzialmente un oggetto misterioso per la Corte di Giustizia, che resta ancorata alla contraddizione che vede tale interesse confinato ad operare come principio interpretativo generale della normativa, privo però di qualsiasi implicazione concreta ed effettiva nel giudizio di registrazione e di contraffazione. In conclusione si suggerisce la necessità di sciogliere questo paradosso e si individua nella proposta del Max Planck un’occasione inspiegabilmente mancata per farlo.File | Dimensione | Formato | |
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