Obiettivo di questo scritto è quello di porre delle domande più che di dare risposte, ripercorrendo alcune questioni che hanno portato, talune discipline più di altre, a una problematizzazione del concetto di minoranza che prende il “la” proprio da una certa insofferenza rispetto a una espansione casuale del suo uso, che svilisce i suoi confini semantici fino a smaterializzare il suo significato giuridico e, di conseguenza, la sua portata normativa. Ci si domanda, infatti, se non sia giunto il momento di mettere da parte l’idea sottesa al termine minoranza o quantomeno di aggiornarne i presupposti d’uso in sintonia con le sfide di “accomodamento delle diversità” che il costituzionalismo contemporaneo pone e che non paiono essere state sempre prese in carico fino alle loro estreme conseguenze, non per scarsa volontà o per incapacità, ma per assenza di presupposti di fatto. Quegli stessi presupposti di fatto che oggi sono posti sul tavolo dalla pandemia, che li ha resi prepotentemente ineludibili. Dopo aver ripercorso gli elementi su cui la dottrina in materia sembra convergere per definire cosa sia una minoranza e dopo averne verificato la coerenza con i presupposti del costituzionalismo democratico, l’articolo si sofferma sull’analisi di alcune criticità che emergono con chiarezza nel momento in cui si mettono in relazione lo “stato” del discorso sulle minoranze con alcuni fondamenti della democrazia costituzionale contemporanea. Particolare attenzione è dedicata alle conseguenze, tutt’altro che positive, cui ha condotto la progressiva sovrapposizione del concetto di gruppo svantaggiato con quello di minoranza, una sovrapposizione capace al contempo di impedire un’analisi a tutto tondo della pluralità sociale e delle istanze che possono provenire dai diversi gruppi identitari, nonché di disinnescare la naturale propensione del costituzionalismo democratico alla lotta contro le disuguaglianze. Per questo nell’ultima parte la riflessione si concentra sulla necessità di porre nuove basi allo studio delle minoranze: basi capaci di prendere le distanze dal contesto originario dello Stato-nazione attraverso la costruzione di dinamiche interculturali che vanno oltre la dicotomica divisione tra maggioranza e minoranza, tutta schiacciata su presupposti di benigna tolleranza anziché aperta a politiche di riconoscimento. L’introduzione di una riflessione sulla condizione economico-sociale di alcune comunità e sulla funzione emancipante del costituzionalismo finisce per rivelarsi essenziale nello studio del concetto di minoranza al fine di poter assicurare la protezione dei diritti culturali nell’ottica della tutela della persona e della sua libertà di autodeterminarsi a prescindere da quei limiti che l’emarginazione o l’esclusione sociale di un gruppo comportano.

Ripensare le minoranze. Considerazioni in tempo di pandemia.

Anna Mastromarino
2022-01-01

Abstract

Obiettivo di questo scritto è quello di porre delle domande più che di dare risposte, ripercorrendo alcune questioni che hanno portato, talune discipline più di altre, a una problematizzazione del concetto di minoranza che prende il “la” proprio da una certa insofferenza rispetto a una espansione casuale del suo uso, che svilisce i suoi confini semantici fino a smaterializzare il suo significato giuridico e, di conseguenza, la sua portata normativa. Ci si domanda, infatti, se non sia giunto il momento di mettere da parte l’idea sottesa al termine minoranza o quantomeno di aggiornarne i presupposti d’uso in sintonia con le sfide di “accomodamento delle diversità” che il costituzionalismo contemporaneo pone e che non paiono essere state sempre prese in carico fino alle loro estreme conseguenze, non per scarsa volontà o per incapacità, ma per assenza di presupposti di fatto. Quegli stessi presupposti di fatto che oggi sono posti sul tavolo dalla pandemia, che li ha resi prepotentemente ineludibili. Dopo aver ripercorso gli elementi su cui la dottrina in materia sembra convergere per definire cosa sia una minoranza e dopo averne verificato la coerenza con i presupposti del costituzionalismo democratico, l’articolo si sofferma sull’analisi di alcune criticità che emergono con chiarezza nel momento in cui si mettono in relazione lo “stato” del discorso sulle minoranze con alcuni fondamenti della democrazia costituzionale contemporanea. Particolare attenzione è dedicata alle conseguenze, tutt’altro che positive, cui ha condotto la progressiva sovrapposizione del concetto di gruppo svantaggiato con quello di minoranza, una sovrapposizione capace al contempo di impedire un’analisi a tutto tondo della pluralità sociale e delle istanze che possono provenire dai diversi gruppi identitari, nonché di disinnescare la naturale propensione del costituzionalismo democratico alla lotta contro le disuguaglianze. Per questo nell’ultima parte la riflessione si concentra sulla necessità di porre nuove basi allo studio delle minoranze: basi capaci di prendere le distanze dal contesto originario dello Stato-nazione attraverso la costruzione di dinamiche interculturali che vanno oltre la dicotomica divisione tra maggioranza e minoranza, tutta schiacciata su presupposti di benigna tolleranza anziché aperta a politiche di riconoscimento. L’introduzione di una riflessione sulla condizione economico-sociale di alcune comunità e sulla funzione emancipante del costituzionalismo finisce per rivelarsi essenziale nello studio del concetto di minoranza al fine di poter assicurare la protezione dei diritti culturali nell’ottica della tutela della persona e della sua libertà di autodeterminarsi a prescindere da quei limiti che l’emarginazione o l’esclusione sociale di un gruppo comportano.
2022
Le identità minoritarie alla prova della Pandemia da Covid-19. Una prospettiva comparata
Cedam
Centro italiano per lo sviluppo della ricerca
73
157
192
9788813380250
Minoranze, redistribuzione, riconoscimento, democrazia costituzionale
Anna Mastromarino
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