A soli due anni di distanza da "Mare aperto" per il quale ha vinto il Costa Book Award nel 2021, il britannico Caleb Azumah Nelson ritorna nella scena letteraria con "Piccoli mondi". Come nel precedente romanzo, anche questa volta il protagonista principale rispecchia alcune caratteristiche dell’autore: entrambi di origine ghanese e con una dichiarata passione per la fotografia e la musica. A differenza di "Mare aperto", l’arco temporale della narrazione di "Piccoli Mondi" è ben definito: Stephen, la voce narrante, ripercorre eventi e fatti accaduti nei mesi estivi del 2010, 2011 e 2012. Stephen vive nel suo piccolo mondo nel quartiere londinese di Peckham. Nel 2010 ha diciotto anni, vorrebbe studiare musica all’università, vorrebbe esprimere i sentimenti che prova per Del (l’amica di sempre con la quale condivide anche la passione per la musica) e vorrebbe essere motivo di orgoglio per suo padre che invece “si aspetta che io sia impegnato a sopravvivere, non a scoprire”. Stephen “è cresciuto accanto alla madre in cucina”, che oltre alla passione per l’arte culinaria gli ha trasmesso la conoscenza di due lingue: l’inglese “che è più fardello che strumento” e il Ga da lui definito “della variante viaggiatrice” perché il suo Ga “è arrivato in valigia, come se fossi un turista nella mia lingua madre”. Il senso di non appartenenza emerge in tutti i protagonisti che interagiscono con il piccolo mondo di Stephen: negli adulti, che a ogni ritorno al paese d’origine avvertono l’affievolirsi dello loro radici, radici che invece si radicano sempre più nel paese dove sono emigrati in cerca di un futuro migliore; nei giovani di seconda generazione, disorientati e perseguitati dalla storia, portatori della vecchia, insanabile ferita aperta secoli prima a Cape Coast in Ghana sulla “Porta del non ritorno” dove i “Neri perdevano il loro nome.” I “Neri” che popolano il quartiere di Peckham vivono in un clima di tensione: Londra si sta chiudendo ed è intenzionata a “farli svanire e ad incoraggiare la loro scomparsa”. Stephen denuncia i soprusi commessi dalle autorità inglesi (come la morte di Mark Duggan, ucciso dalla polizia a Tottenham, a nord di Londra, il 4 agosto 2011) e episodi di razzismo (come quello subito dal suo amico Koby, agonizzante per i pugni e calci ricevuti con violenza e “con un odio che lui non sapeva potesse essere contenuto in un corpo, e men che meno espresso sul suo”). Nel suo piccolo mondo segnato dalla violenza e dal razzismo, Stephen si riconosce “solo in musica. Nella calma, nella libertà, nel lasciarsi andare”, ma in modo particolare nel “jazz e il suo spirito di improvvisazione (che) lascia spazio agli errori, e per di più permette all’errore di essere qualcosa di bello”. Per colmare i vuoti del passato della sua famiglia, Stephen si affida alle numerose fotografie che trova in casa, passa in rassegna con curiosa avidità le immagini che ritraggono i genitori nel loro paese d’origine. Momenti di vita, fermati nel tempo dallo scatto fotografico, che per il giovane diventano la sua memoria storica personale. Anche in questo romanzo, Nelson fa uso di espressioni ripetute più volte, forse come rimando al racconto orale. I moduli espressivi reiterati aiutano la memoria e scandiscono la narrazione, ma in "Piccoli Mondi" sono talvolta ridondanti, la rallentano e le conferiscono un ritmo monotono.

Incoraggiare la scomparsa

Maria Festa
First
2024-01-01

Abstract

A soli due anni di distanza da "Mare aperto" per il quale ha vinto il Costa Book Award nel 2021, il britannico Caleb Azumah Nelson ritorna nella scena letteraria con "Piccoli mondi". Come nel precedente romanzo, anche questa volta il protagonista principale rispecchia alcune caratteristiche dell’autore: entrambi di origine ghanese e con una dichiarata passione per la fotografia e la musica. A differenza di "Mare aperto", l’arco temporale della narrazione di "Piccoli Mondi" è ben definito: Stephen, la voce narrante, ripercorre eventi e fatti accaduti nei mesi estivi del 2010, 2011 e 2012. Stephen vive nel suo piccolo mondo nel quartiere londinese di Peckham. Nel 2010 ha diciotto anni, vorrebbe studiare musica all’università, vorrebbe esprimere i sentimenti che prova per Del (l’amica di sempre con la quale condivide anche la passione per la musica) e vorrebbe essere motivo di orgoglio per suo padre che invece “si aspetta che io sia impegnato a sopravvivere, non a scoprire”. Stephen “è cresciuto accanto alla madre in cucina”, che oltre alla passione per l’arte culinaria gli ha trasmesso la conoscenza di due lingue: l’inglese “che è più fardello che strumento” e il Ga da lui definito “della variante viaggiatrice” perché il suo Ga “è arrivato in valigia, come se fossi un turista nella mia lingua madre”. Il senso di non appartenenza emerge in tutti i protagonisti che interagiscono con il piccolo mondo di Stephen: negli adulti, che a ogni ritorno al paese d’origine avvertono l’affievolirsi dello loro radici, radici che invece si radicano sempre più nel paese dove sono emigrati in cerca di un futuro migliore; nei giovani di seconda generazione, disorientati e perseguitati dalla storia, portatori della vecchia, insanabile ferita aperta secoli prima a Cape Coast in Ghana sulla “Porta del non ritorno” dove i “Neri perdevano il loro nome.” I “Neri” che popolano il quartiere di Peckham vivono in un clima di tensione: Londra si sta chiudendo ed è intenzionata a “farli svanire e ad incoraggiare la loro scomparsa”. Stephen denuncia i soprusi commessi dalle autorità inglesi (come la morte di Mark Duggan, ucciso dalla polizia a Tottenham, a nord di Londra, il 4 agosto 2011) e episodi di razzismo (come quello subito dal suo amico Koby, agonizzante per i pugni e calci ricevuti con violenza e “con un odio che lui non sapeva potesse essere contenuto in un corpo, e men che meno espresso sul suo”). Nel suo piccolo mondo segnato dalla violenza e dal razzismo, Stephen si riconosce “solo in musica. Nella calma, nella libertà, nel lasciarsi andare”, ma in modo particolare nel “jazz e il suo spirito di improvvisazione (che) lascia spazio agli errori, e per di più permette all’errore di essere qualcosa di bello”. Per colmare i vuoti del passato della sua famiglia, Stephen si affida alle numerose fotografie che trova in casa, passa in rassegna con curiosa avidità le immagini che ritraggono i genitori nel loro paese d’origine. Momenti di vita, fermati nel tempo dallo scatto fotografico, che per il giovane diventano la sua memoria storica personale. Anche in questo romanzo, Nelson fa uso di espressioni ripetute più volte, forse come rimando al racconto orale. I moduli espressivi reiterati aiutano la memoria e scandiscono la narrazione, ma in "Piccoli Mondi" sono talvolta ridondanti, la rallentano e le conferiscono un ritmo monotono.
2024
XL
7/8
22
22
https://www.lindiceonline.com/
identità, razzismo, migrazione, jazz, Ghana
Maria Festa
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1992691
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