Ai minori che hanno sperimentato “esperienze infantili avverse” tali da aver necessità di crescere per un periodo più o meno lungo al di fuori della loro famiglia d’origine, la comunità dovrebbe poter garantire interventi adeguati a favorirne uno sviluppo sano e una favorevole integrazione sociale. Si tratta di mettere le condizioni per attivare la resilienza, ovvero la capacità di superare positivamente le difficoltà, processo a cui concorrono diversi fattori socio-ambientali, oltre che personali (Masten 2014). Per individuare gli interventi efficaci, in modo affidabile e non influenzato da credenze o eventi di cronaca, più o meno rappresentativi, occorre poter disporre di un corpus ampio di ricerca empirica, che faccia emergere le linee di intervento più promettenti. Gli studi in diversi Paesi su tali tematiche sono oggi numerosi e in crescita. Diverse sono anche le indagini nazionali su campioni ampi e longitudinali. Tuttavia effettuare un bilancio in questo ambito è ancora complesso per i seguenti motivi: - la popolazione dei destinatari degli interventi è estremante variegata (minori autoctoni, stranieri di prima e di seconda generazione; neonati, bambini, adolescenti…); - gli interventi di accoglienza hanno caratteristiche molto differenti, anche quando vengono denominate allo stesso modo (es. gli esiti degli studi condotti sull’affidamento a parenti negli Stati Uniti per i bambini afro-americani, potrebbero essere estesi agli affidi a parenti di minori italiani? Probabilmente no, in ragione dell’estrema diversità delle caratteristiche degli stessi); - gli esiti degli interventi di accoglienza assunti come punto di riferimento per definire il livello di efficacia degli stessi sono variabili (es. alcune ricerche si basano sulla percezione di benessere 2 dei minori, altre sulle percezioni degli affidatari, altri ancora assumono come cartina di tornasole la riuscita scolastica, altri le traiettorie di vita). Per l’Italia si aggiunge un problema legato al fatto che i dati nazionali disponibili non consentono di valutare l’efficacia degli interventi, in quanto si tratta di dati aggregati che si limitano a descrivere il fenomeno (es. quanti minori in affidamento in un dato anno, quanti in struttura, da dove provengono i minori prima di transitare in struttura o in famiglia affidataria, quanti minori rientrano…), ma non permettono di conoscere nulla rispetto alle traiettorie dei minori coinvolti e quindi di effettuare inferenze rispetto ai fattori più promettenti per affiancare tali minori.

Promuovere la resilienza dei minori che vivono al di fuori della famiglia d’origine: quali fattori di protezione può attivare la comunità?

Paola Ricchiardi
2024-01-01

Abstract

Ai minori che hanno sperimentato “esperienze infantili avverse” tali da aver necessità di crescere per un periodo più o meno lungo al di fuori della loro famiglia d’origine, la comunità dovrebbe poter garantire interventi adeguati a favorirne uno sviluppo sano e una favorevole integrazione sociale. Si tratta di mettere le condizioni per attivare la resilienza, ovvero la capacità di superare positivamente le difficoltà, processo a cui concorrono diversi fattori socio-ambientali, oltre che personali (Masten 2014). Per individuare gli interventi efficaci, in modo affidabile e non influenzato da credenze o eventi di cronaca, più o meno rappresentativi, occorre poter disporre di un corpus ampio di ricerca empirica, che faccia emergere le linee di intervento più promettenti. Gli studi in diversi Paesi su tali tematiche sono oggi numerosi e in crescita. Diverse sono anche le indagini nazionali su campioni ampi e longitudinali. Tuttavia effettuare un bilancio in questo ambito è ancora complesso per i seguenti motivi: - la popolazione dei destinatari degli interventi è estremante variegata (minori autoctoni, stranieri di prima e di seconda generazione; neonati, bambini, adolescenti…); - gli interventi di accoglienza hanno caratteristiche molto differenti, anche quando vengono denominate allo stesso modo (es. gli esiti degli studi condotti sull’affidamento a parenti negli Stati Uniti per i bambini afro-americani, potrebbero essere estesi agli affidi a parenti di minori italiani? Probabilmente no, in ragione dell’estrema diversità delle caratteristiche degli stessi); - gli esiti degli interventi di accoglienza assunti come punto di riferimento per definire il livello di efficacia degli stessi sono variabili (es. alcune ricerche si basano sulla percezione di benessere 2 dei minori, altre sulle percezioni degli affidatari, altri ancora assumono come cartina di tornasole la riuscita scolastica, altri le traiettorie di vita). Per l’Italia si aggiunge un problema legato al fatto che i dati nazionali disponibili non consentono di valutare l’efficacia degli interventi, in quanto si tratta di dati aggregati che si limitano a descrivere il fenomeno (es. quanti minori in affidamento in un dato anno, quanti in struttura, da dove provengono i minori prima di transitare in struttura o in famiglia affidataria, quanti minori rientrano…), ma non permettono di conoscere nulla rispetto alle traiettorie dei minori coinvolti e quindi di effettuare inferenze rispetto ai fattori più promettenti per affiancare tali minori.
2024
IL RUOLO DELLE COMUNITÀ EDUCANTI PER L’AFFIDO E L’ADOZIONE Ricerche, esperienze e prospettive sull’accoglienza
Libreriauniversitaria
Scienze Sociali applicate
62
79
978-88-3359-723-2
Affidamento familiare - Adozione - Fattori di rischio - Resilienza
Paola Ricchiardi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/2030650
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