La ricerca indaga il rapporto tra Guido Gozzano e la letteratura francese, collocandolo nel più ampio processo di penetrazione della cultura transalpina nell’ambiente torinese tra fine Ottocento e primi Novecento. Lo studio si fonda su un vasto spoglio della stampa periodica cui Gozzano collaborò o che accolse la sua opera – «Il Campo», «Il Venerdì della Contessa», «Il Piemonte», «La Gazzetta del Popolo della Domenica» – includendo, quando necessario, testate non torinesi come il «Corriere della Sera» e la «Rivista di Roma», nonché riviste francesi quali il «Mercure de France». L’arco cronologico considerato, dagli ultimi anni del secolo alla pubblicazione dei Colloqui (1911), coincide con la formazione e maturazione dell’autore; oltre questa soglia, l’immaginario fin de siècle entra in rapida crisi, sino alla sua dissoluzione con la Prima guerra mondiale. Dallo spoglio emerge innanzitutto la presenza capillare, quasi ubiquitaria, della letteratura francese nella vita culturale torinese, restituita da una rete fittissima di recensioni, notizie, sino a curiosità e pettegolezzi. In questo dialogo quotidiano si delinea un canone di autori d’Oltralpe che in larga misura coincide con quello gozzaniano: alla ricezione di Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Pierre Loti, Alfred de Musset, José-Maria de Heredia e Jean Lorrain è dedicato il primo capitolo. Lo spoglio delle riviste ha permesso inoltre di ricostruire il contesto culturale torinese alla luce dei suoi rapporti con Gozzano, mettendo in rilievo la posizione ambivalente che egli occupa nel sistema dei valori cittadini: da un lato recepisce e rielabora le categorie moralistiche tipiche dell’ambiente locale; dall’altro se ne allontana, impiegando l’ironia come strumento interno di distanziamento. Il terzo capitolo approfondisce tali dinamiche attraverso letture puntuali de La signorina Felicita, L’altro, L’assenza e Ignorabimus. Il capitolo conclusivo analizza l’Albo dell’Officina, individuando fonti dirette in Loti, Lorrain e Jammes, e mettendo in luce la capacità di Gozzano di assorbire e trasformare materiali eterogenei, fino a farli confluire in una voce poetica che appare tanto personale quanto stratificata. La tesi mira a sottrarre l’immagine di Gozzano a ogni riduzione biografica o sentimentalistica, restituendone il profilo di poeta pienamente consapevole, dotato di un controllo stilistico rigoroso e di una costante vigilanza critica. La sua modernità non si esprime in un rifiuto programmatico dei codici dominanti, ma si inscrive piuttosto in una loro adesione costantemente problematizzata. Gozzano assume linguaggi altrui – quello dell’esteta, del moralista, del poeta naïf – per smascherarne, con sottile perizia, l’inadeguatezza al proprio corpo poetico. E tuttavia, ciò da cui prende le distanze non è mai del tutto rigettato. Né l’estetismo d’annunziano, né il moralismo austero dell’élite torinese, né il lirismo larmoyant e provinciale di Jammes vengono completamente congedati. Anche la Torino più opaca e conformista, coi suoi salotti «beoti assai, pettegoli, bigotti», non è oggetto di scherno assoluto, ma serbatoio di forme, pose, memorie da trasfigurare poeticamente. Nulla, in Gozzano, è interamente dismesso: l’ironia che egli esercita – anche verso il proprio io lirico – non è mai demolitoria, e spesso venata di una malinconica tenerezza. È in questa continua oscillazione tra appropriazione e scarto che si rivela la sua modernità

«Semplicità che l’anima consola». Gozzano e la ricezione del simbolismo francese a Torino(2025 Nov 14).

«Semplicità che l’anima consola». Gozzano e la ricezione del simbolismo francese a Torino

ANGELINI, STEFANO
2025-11-14

Abstract

La ricerca indaga il rapporto tra Guido Gozzano e la letteratura francese, collocandolo nel più ampio processo di penetrazione della cultura transalpina nell’ambiente torinese tra fine Ottocento e primi Novecento. Lo studio si fonda su un vasto spoglio della stampa periodica cui Gozzano collaborò o che accolse la sua opera – «Il Campo», «Il Venerdì della Contessa», «Il Piemonte», «La Gazzetta del Popolo della Domenica» – includendo, quando necessario, testate non torinesi come il «Corriere della Sera» e la «Rivista di Roma», nonché riviste francesi quali il «Mercure de France». L’arco cronologico considerato, dagli ultimi anni del secolo alla pubblicazione dei Colloqui (1911), coincide con la formazione e maturazione dell’autore; oltre questa soglia, l’immaginario fin de siècle entra in rapida crisi, sino alla sua dissoluzione con la Prima guerra mondiale. Dallo spoglio emerge innanzitutto la presenza capillare, quasi ubiquitaria, della letteratura francese nella vita culturale torinese, restituita da una rete fittissima di recensioni, notizie, sino a curiosità e pettegolezzi. In questo dialogo quotidiano si delinea un canone di autori d’Oltralpe che in larga misura coincide con quello gozzaniano: alla ricezione di Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Pierre Loti, Alfred de Musset, José-Maria de Heredia e Jean Lorrain è dedicato il primo capitolo. Lo spoglio delle riviste ha permesso inoltre di ricostruire il contesto culturale torinese alla luce dei suoi rapporti con Gozzano, mettendo in rilievo la posizione ambivalente che egli occupa nel sistema dei valori cittadini: da un lato recepisce e rielabora le categorie moralistiche tipiche dell’ambiente locale; dall’altro se ne allontana, impiegando l’ironia come strumento interno di distanziamento. Il terzo capitolo approfondisce tali dinamiche attraverso letture puntuali de La signorina Felicita, L’altro, L’assenza e Ignorabimus. Il capitolo conclusivo analizza l’Albo dell’Officina, individuando fonti dirette in Loti, Lorrain e Jammes, e mettendo in luce la capacità di Gozzano di assorbire e trasformare materiali eterogenei, fino a farli confluire in una voce poetica che appare tanto personale quanto stratificata. La tesi mira a sottrarre l’immagine di Gozzano a ogni riduzione biografica o sentimentalistica, restituendone il profilo di poeta pienamente consapevole, dotato di un controllo stilistico rigoroso e di una costante vigilanza critica. La sua modernità non si esprime in un rifiuto programmatico dei codici dominanti, ma si inscrive piuttosto in una loro adesione costantemente problematizzata. Gozzano assume linguaggi altrui – quello dell’esteta, del moralista, del poeta naïf – per smascherarne, con sottile perizia, l’inadeguatezza al proprio corpo poetico. E tuttavia, ciò da cui prende le distanze non è mai del tutto rigettato. Né l’estetismo d’annunziano, né il moralismo austero dell’élite torinese, né il lirismo larmoyant e provinciale di Jammes vengono completamente congedati. Anche la Torino più opaca e conformista, coi suoi salotti «beoti assai, pettegoli, bigotti», non è oggetto di scherno assoluto, ma serbatoio di forme, pose, memorie da trasfigurare poeticamente. Nulla, in Gozzano, è interamente dismesso: l’ironia che egli esercita – anche verso il proprio io lirico – non è mai demolitoria, e spesso venata di una malinconica tenerezza. È in questa continua oscillazione tra appropriazione e scarto che si rivela la sua modernità
14-nov-2025
37
LETTERE
BOGGIONE, Valter
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