L’articolo: “Dolo eventuale”, pubblicato sulla “Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale” del 1990, muove dalla esigenza di controllare in quale misura i punti di arrivo della dottrina in materia di imputazione soggettiva siano compatibili e accettabili sul piano di un vaglio critico che tenga conto delle acquisizioni scientifiche del pensiero contemporaneo. In primo luogo, la configurazione del dolo in termini di pensiero discorsivo trascura il rilievo che gran parte delle figure affioranti dalla psiche non entrano nello schermo del giudizio razionale, ma permangono sullo sfondo dell’orizzonte noetico. La percezione e la reazione del soggetto agente di fronte ad una situazione della vita costituiscono, infatti, delle variabili che giocano, per un verso, in funzione di prefigure provenienti dal substrato endotimico, per l’altro, in funzione delle acquisizioni maturate dall’individuo in base alla sua esperienza di vita anteatta. In secondo luogo, la concezione razionalistica del dolo sembra riflettere l’impianto metodologico del neopositivismo, connesso all’assunto, di matrice empirista, che l’esperienza sensoriale costituisca lo specchio fedele della realtà. In questo contesto, la percezione riveste un ruolo passivo come mera ricezione di dati sensoriali. Al contrario, la meta-scienza contemporanea ritiene che già dall’aspetto fisiologico l’attività percettiva si riveli come una complessa operazione di ricostruzione che avviene attraverso decodificazione e interpretazione di stimoli, alla luce di teorie ed aspettative. La percezione del soggetto agente presenta dunque una natura essenzialmente attiva: sotto il profilo psicologico, il vissuto individuale risulta differente in relazione alle conoscenze ed aspettative maturate dall’Io nei confronti della realtà. La dottrina penalistica, come noto, prende le mosse dall’assunto secondo il quale l’indagine sul dolo si sostanzia nell’inferire da un comportamento esteriore un atteggiamento interiore, ma rispetto a questo schema di indagine, il valore sintomatico del comportamento esteriore esce sensibilmente ridimensionato dalle variabili del vissuto individuale. La concretizzazione delle considerazioni svolte si esprime essenzialmente nel rifiuto della normativizzazione del dolo attraverso l’automatizzazione del procedimento valutativo del giudicante (che sempre più spesso avviene nella prassi giudiziaria attraverso l’accettazione aprioristica di standars di comportamento) e nel monito a non confondere l’oggetto del dolo con i criteri strumentali al suo accertamento. Nelle risultanze dell’indagine sono incoattivamente presenti le premesse della critica alla figura della culpa iuris, che saranno formulate dall’Autore nelle pubblicazioni successive.

Dolo eventuale

LICCI, Giorgio
1990-01-01

Abstract

L’articolo: “Dolo eventuale”, pubblicato sulla “Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale” del 1990, muove dalla esigenza di controllare in quale misura i punti di arrivo della dottrina in materia di imputazione soggettiva siano compatibili e accettabili sul piano di un vaglio critico che tenga conto delle acquisizioni scientifiche del pensiero contemporaneo. In primo luogo, la configurazione del dolo in termini di pensiero discorsivo trascura il rilievo che gran parte delle figure affioranti dalla psiche non entrano nello schermo del giudizio razionale, ma permangono sullo sfondo dell’orizzonte noetico. La percezione e la reazione del soggetto agente di fronte ad una situazione della vita costituiscono, infatti, delle variabili che giocano, per un verso, in funzione di prefigure provenienti dal substrato endotimico, per l’altro, in funzione delle acquisizioni maturate dall’individuo in base alla sua esperienza di vita anteatta. In secondo luogo, la concezione razionalistica del dolo sembra riflettere l’impianto metodologico del neopositivismo, connesso all’assunto, di matrice empirista, che l’esperienza sensoriale costituisca lo specchio fedele della realtà. In questo contesto, la percezione riveste un ruolo passivo come mera ricezione di dati sensoriali. Al contrario, la meta-scienza contemporanea ritiene che già dall’aspetto fisiologico l’attività percettiva si riveli come una complessa operazione di ricostruzione che avviene attraverso decodificazione e interpretazione di stimoli, alla luce di teorie ed aspettative. La percezione del soggetto agente presenta dunque una natura essenzialmente attiva: sotto il profilo psicologico, il vissuto individuale risulta differente in relazione alle conoscenze ed aspettative maturate dall’Io nei confronti della realtà. La dottrina penalistica, come noto, prende le mosse dall’assunto secondo il quale l’indagine sul dolo si sostanzia nell’inferire da un comportamento esteriore un atteggiamento interiore, ma rispetto a questo schema di indagine, il valore sintomatico del comportamento esteriore esce sensibilmente ridimensionato dalle variabili del vissuto individuale. La concretizzazione delle considerazioni svolte si esprime essenzialmente nel rifiuto della normativizzazione del dolo attraverso l’automatizzazione del procedimento valutativo del giudicante (che sempre più spesso avviene nella prassi giudiziaria attraverso l’accettazione aprioristica di standars di comportamento) e nel monito a non confondere l’oggetto del dolo con i criteri strumentali al suo accertamento. Nelle risultanze dell’indagine sono incoattivamente presenti le premesse della critica alla figura della culpa iuris, che saranno formulate dall’Autore nelle pubblicazioni successive.
1990
vol. I
1498
1514
Dolo eventuale; imputazione soggettiva
G. LICCI
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