La monografia: “Ragionevolezza e significatività come parametri di determinatezza della norma penale”, pubblicata per i tipi di Giuffrè, Milano, nel 1989, individua due parametri attraverso i quali pervenire alla concretizzazione del principio di determinatezza: la significatività, pertinente l’enunciato normativo, e la ragionevolezza, pertinente la norma reale, desumibile dal combinato disposto di tutte le proposizioni che convergono a qualificare una stessa vicenda. Posto che non è la completezza della proposizione che rende significativo un messaggio, ma la specificità del suo nucleo significante, se la significatività costituisse l’unica dimensione del principio, la determinatezza si risolverebbe nella capacità di un enunciato legale di tradursi in una regola astrattamente intelligibile. Questo approccio riduttivo porrebbe in ombra la problematica connessa a regole giuridiche comprensibili, ma paradossali, autocontraddittorie o contrastanti con le acquisizioni della scienza e della cultura, le quali -proprio perché logicamente viziate- aprono la strada all’arbitrio del giudice. La peculiarità della ragionevolezza che viene in considerazione in questo contesto consiste nella circostanza che essa rileva quando i vizi di incongruità e di difettosa presupposizione del referente storico-naturalistico della legge possono vulnerare le garanzie del cittadino, rendendo evanescente la linea di demarcazione fra penalmente rilevante e penalmente indifferente. In questo quadro, il fondamento costituzionale del principio non è genericamente riferibile allo ‘spirito della costituzione’, come era stato in precedenza prospettato da un’autorevole dottrina, bensì all’art. 25 capoverso Cost., interpretato alla luce di una ratio di garanzia. Muovendo da queste premesse, viene sottoposta ad indagine la struttura del giudizio di determinatezza, stigmatizzando la tendenza a concepire la ragionevolezza come esito della universalizzazione o della funzionalizzazione del principio di eguaglianza e suggerendo il modello del sindacato sull’eccesso di potere. La tesi proposta esclude dunque che la valutazione della legittimità costituzionale possa ricalcare la falsariga dei giudizi formulabili ex art. 3 Cost., essendo possibile ed opportuno configurare un’autonoma nozione di ragionevolezza, che tenga conto del peculiare significato che il principio assume nel contesto penalistico. La ricerca perviene, infine, alla conclusione che, nonostante alcune prese di posizione della Corte costituzionale circa l’efficacia scusante connessa all’oscurità del dettato normativo, il problema della determinatezza permanga sul piano, rigorosamente oggettivo, delle regole di validità del sistema e perciò riguardi la legittimità costituzionale della legge e non già l’imputazione soggettiva dell’illecito e la tematica dell’ignorantia iuris.

Ragionevolezza e significatività come parametri di determinatezza della norma penale

LICCI, Giorgio
1989-01-01

Abstract

La monografia: “Ragionevolezza e significatività come parametri di determinatezza della norma penale”, pubblicata per i tipi di Giuffrè, Milano, nel 1989, individua due parametri attraverso i quali pervenire alla concretizzazione del principio di determinatezza: la significatività, pertinente l’enunciato normativo, e la ragionevolezza, pertinente la norma reale, desumibile dal combinato disposto di tutte le proposizioni che convergono a qualificare una stessa vicenda. Posto che non è la completezza della proposizione che rende significativo un messaggio, ma la specificità del suo nucleo significante, se la significatività costituisse l’unica dimensione del principio, la determinatezza si risolverebbe nella capacità di un enunciato legale di tradursi in una regola astrattamente intelligibile. Questo approccio riduttivo porrebbe in ombra la problematica connessa a regole giuridiche comprensibili, ma paradossali, autocontraddittorie o contrastanti con le acquisizioni della scienza e della cultura, le quali -proprio perché logicamente viziate- aprono la strada all’arbitrio del giudice. La peculiarità della ragionevolezza che viene in considerazione in questo contesto consiste nella circostanza che essa rileva quando i vizi di incongruità e di difettosa presupposizione del referente storico-naturalistico della legge possono vulnerare le garanzie del cittadino, rendendo evanescente la linea di demarcazione fra penalmente rilevante e penalmente indifferente. In questo quadro, il fondamento costituzionale del principio non è genericamente riferibile allo ‘spirito della costituzione’, come era stato in precedenza prospettato da un’autorevole dottrina, bensì all’art. 25 capoverso Cost., interpretato alla luce di una ratio di garanzia. Muovendo da queste premesse, viene sottoposta ad indagine la struttura del giudizio di determinatezza, stigmatizzando la tendenza a concepire la ragionevolezza come esito della universalizzazione o della funzionalizzazione del principio di eguaglianza e suggerendo il modello del sindacato sull’eccesso di potere. La tesi proposta esclude dunque che la valutazione della legittimità costituzionale possa ricalcare la falsariga dei giudizi formulabili ex art. 3 Cost., essendo possibile ed opportuno configurare un’autonoma nozione di ragionevolezza, che tenga conto del peculiare significato che il principio assume nel contesto penalistico. La ricerca perviene, infine, alla conclusione che, nonostante alcune prese di posizione della Corte costituzionale circa l’efficacia scusante connessa all’oscurità del dettato normativo, il problema della determinatezza permanga sul piano, rigorosamente oggettivo, delle regole di validità del sistema e perciò riguardi la legittimità costituzionale della legge e non già l’imputazione soggettiva dell’illecito e la tematica dell’ignorantia iuris.
1989
Giuffré
1
170
9788814018817
Ragionevolezza; significatività; determinatezza della norma penale
G. LICCI
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