L’impiego dell’immersione in acqua calda per il controllo del dolore in travaglio è noto da molti anni: la prima documentazione di una nascita in acqua risale al 1803 in Francia. Da allora tale pratica si è diffusa in tutto il mondo. Tuttavia attualmente il numero di donne che utilizza l’immersione in acqua durante il travaglio-parto non è noto. Una recente metanalisi comprendente sette studi clinici randomizzati indica che l’immersione in acqua nel corso del 1° stadio del travaglio determina, rispetto alla non immersione, una significativa riduzione soggettiva della percezione del dolore e del ricorso all’analgesia farmacologia (epidurale/spinale/paracervicale). Le Linee Guida 2007 del National Institute for Clinical Excellence per il controllo del dolore raccomandano infatti l’immersione in acqua nel 1° stadio del travaglio, per le gravide che la richiedono. Non sono state, invece, rilevate differenze significative rispetto all’incidenza di parto vaginale operativo o taglio cesareo, di episiotomie e di lacerazioni perineali di 2° e 3-4° grado. Inoltre, il suo impiego non è risultato associato ad esiti neonatali sfavorevoli, sia in termini di indice di APGAR al 5’ sia di infezioni neonatali e di ricoveri in Terapia Intensiva Neonatale. In caso di travaglio distocico, definito come incremento della dilatazione cervicale < 1 cm/ora, l’immersione in acqua nel 1° stadio del travaglio, rispetto ad una gestione tradizionale di aumento dell’attività contrattile con ossitocina, riduce in modo significativo la percentuale di ricorso all’uso di ossitocina e aumenta la soddisfazione materna. In base alle evidenze riportate in letteratura sia il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists sia il Royal College of Midwives supportano l’immersione in acqua nel 1° stadio del travaglio nella gravidanza a basso rischio. Gli studi circa l’immersione in acqua nel corso del 2° stadio del travaglio sono pochi e non consentono per ora di supportarne o meno il suo impiego.
Parto-travaglio in acqua: realtà o fantasia
BENEDETTO, Chiara;
2008-01-01
Abstract
L’impiego dell’immersione in acqua calda per il controllo del dolore in travaglio è noto da molti anni: la prima documentazione di una nascita in acqua risale al 1803 in Francia. Da allora tale pratica si è diffusa in tutto il mondo. Tuttavia attualmente il numero di donne che utilizza l’immersione in acqua durante il travaglio-parto non è noto. Una recente metanalisi comprendente sette studi clinici randomizzati indica che l’immersione in acqua nel corso del 1° stadio del travaglio determina, rispetto alla non immersione, una significativa riduzione soggettiva della percezione del dolore e del ricorso all’analgesia farmacologia (epidurale/spinale/paracervicale). Le Linee Guida 2007 del National Institute for Clinical Excellence per il controllo del dolore raccomandano infatti l’immersione in acqua nel 1° stadio del travaglio, per le gravide che la richiedono. Non sono state, invece, rilevate differenze significative rispetto all’incidenza di parto vaginale operativo o taglio cesareo, di episiotomie e di lacerazioni perineali di 2° e 3-4° grado. Inoltre, il suo impiego non è risultato associato ad esiti neonatali sfavorevoli, sia in termini di indice di APGAR al 5’ sia di infezioni neonatali e di ricoveri in Terapia Intensiva Neonatale. In caso di travaglio distocico, definito come incremento della dilatazione cervicale < 1 cm/ora, l’immersione in acqua nel 1° stadio del travaglio, rispetto ad una gestione tradizionale di aumento dell’attività contrattile con ossitocina, riduce in modo significativo la percentuale di ricorso all’uso di ossitocina e aumenta la soddisfazione materna. In base alle evidenze riportate in letteratura sia il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists sia il Royal College of Midwives supportano l’immersione in acqua nel 1° stadio del travaglio nella gravidanza a basso rischio. Gli studi circa l’immersione in acqua nel corso del 2° stadio del travaglio sono pochi e non consentono per ora di supportarne o meno il suo impiego.File | Dimensione | Formato | |
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