Dalla seconda metà del Novecento si sono registrati rilevanti cambiamenti nell’organizzazione e nelle funzioni dello Stato contemporaneo, che hanno determinato una graduale devoluzione dei suoi poteri e della sovranità stessa, su più fronti e a più livelli di governo. Nel contesto di progressiva realizzazione di una società complessa e dall’ampio dinamismo sociale e politico, appare dunque sempre più evidente come il principio di leale collaborazione assuma il ruolo di principio-cardine per il funzionamento dei moderni sistemi nazionali. Trattasi infatti di un principio generale che, nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione ai diversi soggetti, pubblici e privati, statali, infrastatali e sovranazionali, opera incisivamente sulle modalità di esercizio delle funzioni stesse, consentendo l’integrazione tra esigenze unitarie e istanze di differenziazione, quali provengono dai differenti livelli di governo. Il lavoro vuole dimostrare come per l’ordinamento italiano il principio consista peraltro in qualcosa di diverso e di più dinamico rispetto al semplice vincolo dell’osservanza di un “patto costituzionale”. Per giungere a questa dimostrazione si è esaminato, in primo luogo, come il principio di leale collaborazione si è sviluppato nell’ordinamento italiano e, in particolare, quale valore e significato esso vi ha assunto. Si è arrivati in seguito ad ipotizzare la portata che esso dovrebbe realmente assumere per assicurare una maggiore stabilità nei rapporti tra ordinamenti multilivello. Si è cercato in particolare di pervenire a una compiuta identificazione concettuale del principio di leale collaborazione e di individuarne i contenuti, facendo chiarezza sulla sua portata e su come esso possa interagire con il riparto di competenze e, più in generale, su quale sia la sua funzione all’interno dell’ordinamento. Si è resa peraltro necessaria una precisa scelta metodologica. Si sono dovuti infatti tralasciare lo studio della collaborazione a livello strutturale e l’analisi delle sedi in cui essa si svolge, per privilegiare la individuazione del profilo funzionale del principio in esame. Si è dunque preferito andare alla ricerca di un modello di collaborazione funzionale, dei meccanismi decisionali, cioè, da proporre come valida alternativa a quelli attuali, i quali continuano ad essere improntati alla tradizionale posizione di supremazia gerarchica dello Stato e a fondarsi su procedimenti decisionali di tipo esclusivo. La istituzione e la successiva attuazione di una collaborazione efficace tra soggetti portatori di interessi contrapposti e titolari di competenze “confliggenti” o, comunque, inestricabilmente tra loro intrecciate, possono avvenire unicamente mediante la instaurazione di un clima di intesa su obiettivi comuni; soprattutto, non con la ricerca degli interessi particolari, ma con la condivisione di tutte le risorse utili a pervenire ad una unità effettivamente voluta e praticata.
Il principio di leale collaborazione nel policentrismo del sistema costituzionale italiano
BERTOLINO, Cristina
2007-01-01
Abstract
Dalla seconda metà del Novecento si sono registrati rilevanti cambiamenti nell’organizzazione e nelle funzioni dello Stato contemporaneo, che hanno determinato una graduale devoluzione dei suoi poteri e della sovranità stessa, su più fronti e a più livelli di governo. Nel contesto di progressiva realizzazione di una società complessa e dall’ampio dinamismo sociale e politico, appare dunque sempre più evidente come il principio di leale collaborazione assuma il ruolo di principio-cardine per il funzionamento dei moderni sistemi nazionali. Trattasi infatti di un principio generale che, nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione ai diversi soggetti, pubblici e privati, statali, infrastatali e sovranazionali, opera incisivamente sulle modalità di esercizio delle funzioni stesse, consentendo l’integrazione tra esigenze unitarie e istanze di differenziazione, quali provengono dai differenti livelli di governo. Il lavoro vuole dimostrare come per l’ordinamento italiano il principio consista peraltro in qualcosa di diverso e di più dinamico rispetto al semplice vincolo dell’osservanza di un “patto costituzionale”. Per giungere a questa dimostrazione si è esaminato, in primo luogo, come il principio di leale collaborazione si è sviluppato nell’ordinamento italiano e, in particolare, quale valore e significato esso vi ha assunto. Si è arrivati in seguito ad ipotizzare la portata che esso dovrebbe realmente assumere per assicurare una maggiore stabilità nei rapporti tra ordinamenti multilivello. Si è cercato in particolare di pervenire a una compiuta identificazione concettuale del principio di leale collaborazione e di individuarne i contenuti, facendo chiarezza sulla sua portata e su come esso possa interagire con il riparto di competenze e, più in generale, su quale sia la sua funzione all’interno dell’ordinamento. Si è resa peraltro necessaria una precisa scelta metodologica. Si sono dovuti infatti tralasciare lo studio della collaborazione a livello strutturale e l’analisi delle sedi in cui essa si svolge, per privilegiare la individuazione del profilo funzionale del principio in esame. Si è dunque preferito andare alla ricerca di un modello di collaborazione funzionale, dei meccanismi decisionali, cioè, da proporre come valida alternativa a quelli attuali, i quali continuano ad essere improntati alla tradizionale posizione di supremazia gerarchica dello Stato e a fondarsi su procedimenti decisionali di tipo esclusivo. La istituzione e la successiva attuazione di una collaborazione efficace tra soggetti portatori di interessi contrapposti e titolari di competenze “confliggenti” o, comunque, inestricabilmente tra loro intrecciate, possono avvenire unicamente mediante la instaurazione di un clima di intesa su obiettivi comuni; soprattutto, non con la ricerca degli interessi particolari, ma con la condivisione di tutte le risorse utili a pervenire ad una unità effettivamente voluta e praticata.File | Dimensione | Formato | |
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