Il libro rappresenta l'unico lavoro in dottrina che affronta, dal punto di vista dell'analisi economica del diritto, la natura del trust di common law e riconduce le dinamiche dell'istituto a categorie proprie del diritto delle organizzazioni complesse (quali le società) anziché a quei modelli, come fiducia, mandato e contratto in favore di terzi, ai quali è tradizionalmente ricondotto il trust nel nostro ordinamento. Il lavoro si inserisce nel dibattito nordamericano, in cui parte della dottrina ha sottolineato le origini proprietarie del trust, parte ne ha rimarcato l'emergente contrattualità e altri ancora hanno analizzato l'istituto alla luce della nexus of contracts theory, enfatizzando l’importanza della relazione di principal and agent (in cui dall'azione di un soggetto dipende la funzione di utilità di un altro) che coinvolge trustee e beneficiari. L'autore, per contro, sottolinea come l'applicazione di tale teoria ai trusts sia riduttiva in quanto non consente di cogliere né ulteriori relazioni di principal and agent altrettanto importanti, che l'istituto è in grado di realizzare attraverso la segregazione patrimoniale, né le dinamiche proprie dei trusts moderni. Di conseguenza, il modello angloamericano è analizzato alla luce di un'altra teoria economica, la teoria dei connected contracts, elaborata per spiegare i rapporti creati dalle società, diverse dalle public companies, tra gli attori che ruotano loro attorno. Secondo tale modello, nelle società: (i) si creano più relazioni di principal and agent, anche reciproche, tra soci, manager, lavoratori, creditori, e fornitori; (ii) tutti i soggetti coinvolti negoziano il controllo in virtù dello specifico tipo di capitale che apportano (umano, finanziario, in termini di know-how o clientela); e (iii) in seguito alla negoziazione del controllo, la governance risulta condivisa tra più soggetti. L’autore riscontra nel trust tali tipi di relazioni e di dinamiche e le analizza sia dal punto di vista economico quanto da quello del diritto di common law. Quindi, alla luce delle identità riscontrate con le organizzazioni complesse, l’autore propone la ricezione del trust attraverso le categorie fornite dal diritto societario italiano e, in particolare, formula un parallelo con le società per azioni che adottino il modello dualistico di governance. Il parallelo si fonda sull’identità di struttura dei due modelli e sull’identità di posizione giuridico ed economica dei soggetti che ruotano loro attorno: (i) beneficiari del trust e soci (ai quali spetta un diritto sul residuo dopo che si siano soddisfatti creditori e managers); (ii) trustee e managers (che gestiscono il patrimonio loro affidato); (iii) protectors e consiglieri di sorveglianza (che monitorano e indirizzano la gestione). Quindi, nell’ultima parte del libro, la ricerca si sposta prima sull’adottabilità e sulla compatibilità di regole e soluzioni proprie del diritto societario con il modello trust, e, successivamente, sull’incompatibilità di alcune soluzioni dell’istituto angloamericano con i modelli societari. Proprio tali soluzioni, tipiche del prodotto delle corti di Equity, rendono il trust più elastico e funzionalmente più efficiente in un’ottica di protezione patrimoniale. Infine, nelle ultime pagine l’autore fa notare come l’analogia del trust con le organizzazioni complesse sia rilevante anche rispetto al problema della causa dell’atto dispositivo (di dotazione dei beni da gestire al trustee) – la cui sussistenza o meno ha suscitato un ampio dibattito in letteratura – consentendone un’individuazione più agevole e lineare.

Il trust come organizzazione complessa

A. Gallarati
2010-01-01

Abstract

Il libro rappresenta l'unico lavoro in dottrina che affronta, dal punto di vista dell'analisi economica del diritto, la natura del trust di common law e riconduce le dinamiche dell'istituto a categorie proprie del diritto delle organizzazioni complesse (quali le società) anziché a quei modelli, come fiducia, mandato e contratto in favore di terzi, ai quali è tradizionalmente ricondotto il trust nel nostro ordinamento. Il lavoro si inserisce nel dibattito nordamericano, in cui parte della dottrina ha sottolineato le origini proprietarie del trust, parte ne ha rimarcato l'emergente contrattualità e altri ancora hanno analizzato l'istituto alla luce della nexus of contracts theory, enfatizzando l’importanza della relazione di principal and agent (in cui dall'azione di un soggetto dipende la funzione di utilità di un altro) che coinvolge trustee e beneficiari. L'autore, per contro, sottolinea come l'applicazione di tale teoria ai trusts sia riduttiva in quanto non consente di cogliere né ulteriori relazioni di principal and agent altrettanto importanti, che l'istituto è in grado di realizzare attraverso la segregazione patrimoniale, né le dinamiche proprie dei trusts moderni. Di conseguenza, il modello angloamericano è analizzato alla luce di un'altra teoria economica, la teoria dei connected contracts, elaborata per spiegare i rapporti creati dalle società, diverse dalle public companies, tra gli attori che ruotano loro attorno. Secondo tale modello, nelle società: (i) si creano più relazioni di principal and agent, anche reciproche, tra soci, manager, lavoratori, creditori, e fornitori; (ii) tutti i soggetti coinvolti negoziano il controllo in virtù dello specifico tipo di capitale che apportano (umano, finanziario, in termini di know-how o clientela); e (iii) in seguito alla negoziazione del controllo, la governance risulta condivisa tra più soggetti. L’autore riscontra nel trust tali tipi di relazioni e di dinamiche e le analizza sia dal punto di vista economico quanto da quello del diritto di common law. Quindi, alla luce delle identità riscontrate con le organizzazioni complesse, l’autore propone la ricezione del trust attraverso le categorie fornite dal diritto societario italiano e, in particolare, formula un parallelo con le società per azioni che adottino il modello dualistico di governance. Il parallelo si fonda sull’identità di struttura dei due modelli e sull’identità di posizione giuridico ed economica dei soggetti che ruotano loro attorno: (i) beneficiari del trust e soci (ai quali spetta un diritto sul residuo dopo che si siano soddisfatti creditori e managers); (ii) trustee e managers (che gestiscono il patrimonio loro affidato); (iii) protectors e consiglieri di sorveglianza (che monitorano e indirizzano la gestione). Quindi, nell’ultima parte del libro, la ricerca si sposta prima sull’adottabilità e sulla compatibilità di regole e soluzioni proprie del diritto societario con il modello trust, e, successivamente, sull’incompatibilità di alcune soluzioni dell’istituto angloamericano con i modelli societari. Proprio tali soluzioni, tipiche del prodotto delle corti di Equity, rendono il trust più elastico e funzionalmente più efficiente in un’ottica di protezione patrimoniale. Infine, nelle ultime pagine l’autore fa notare come l’analogia del trust con le organizzazioni complesse sia rilevante anche rispetto al problema della causa dell’atto dispositivo (di dotazione dei beni da gestire al trustee) – la cui sussistenza o meno ha suscitato un ampio dibattito in letteratura – consentendone un’individuazione più agevole e lineare.
2010
Giuffré
1
xv
362
9788814153396
http://www.giuffre.it/servlet/page?_pageid=56&_dad=portal30&_schema=PORTAL30&APCodVolume=217502
trust; fiducia; recezione nel diritto italiano; diritto societario; modello dualistico; nexus of contracts theory; connected contracts theory
A. Gallarati
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/58187
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