Il movimento afro-americano per i diritti civili, sviluppatosi nel secondo dopoguerra negli Stati Uniti, fu un evento di grande portata politica e sociale, tale da incidere sugli equilibri elettorali della società americana a partire dagli anni Sessanta, in considerazione del fatto che i neri rappresentavano oltre un decimo della popolazione totale, mentre nel Profondo Sud superavano il 25%, ed in larghe zone dalla Louisiana alla South Carolina, note come Black Belt, ancora nel 1965 costituivano oltre metà della popolazione. Negli anni Sessanta il movimento ebbe ripercussioni anche sui settori studenteschi e sulle altre minoranze etniche, innescando un decennio di proteste culminate nel movimento pacifista contro la guerra in Vietnam. Una conseguenza indiretta del movimento e delle leggi federali approvate, consiste nel riallineamento elettorale nel Sud, che privilegia i settori conservatori del partito repubblicano, a discapito del monolitismo democratico che escludeva i neri dal voto prima degli anni Sessanta. L'immagine del civil rights movement proiettata dai media, specialmente al di fuori degli USA, si è concentrata sugli aspetti più popolari e controversi di leadership contrapposte senza approfondire la portata collettiva di movimenti spontanei ed auto-organizzati, spesso caratterizzati da una forte impronta religiosa e spirituale, ma anche da legami con organizzazioni sindacali, od associazioni interrazziali pronte a sostenere il movimento. La storiografia americana dedicata al movimento di liberazione nero negli ultimi decenni si è fatta carico di correggere l'immagine cristallizzata ereditata dai media, andando ad approfondire il ruolo delle organizzazioni di base che si mobilitarono per obiettivi di democrazia, uguaglianza e giustizia garantiti dalla Costituzione, ma pervicacemente negati ai cittadini neri, soprattutto negli Stati del Sud, in cui vigeva quella che è stata definita "cittadinanza di seconda classe". La storiografia americana sui diritti civili ed il movimento di liberazione degli afro-americani si è arricchita nell’ultimo ventennio di studi che mostrano un’origine anteriore ed un’articolazione più complessa all’interno della comunità, che trascende gli aspetti più noti degli anni Sessanta e la figura carismatica di Martin Luther King, Jr.. Il volume fa riferimento ad un settore storiografico statunitense che nell’ultimo ventennio ha ricevuto grande impulso da metodi di ricerca innovativi. Il corpus storiografico sul civil rights movement è impressionante per quantità, profondità e varietà della ricerca, ed è sostanzialmente poco noto nel panorama della ricerca italiana. L’importanza della storiografia americana sul movimento è emersa con forza negli ultimi decenni, grazie alla pubblicazione di opere che esplorano aspetti locali e nazionali del movimento, utilizzando categorie di genere e classe, ed individuando le segmentazioni culturali ed ideologiche della comunità nera, che appare meno compatta di quanto non suggerisca la sola categoria del colore. La ricerca ha utilizzato le fonti governative e gli archivi delle organizzazioni, interviste orali, statistiche, memorialistica e giornali, mostrando non solo intuito su filoni tematici ancora poco esplorati, ma anche una capacità di innovazione metodologica che ha molto arricchito il quadro complessivo della storiografia americana, debitrice a quella “nera” di un’abilità nell’uso delle fonti, ed una cogenza nell’interrogarsi, da cui hanno tratto beneficio molti settori della ricerca, in particolare la storia sociale, del lavoro, dell’immigrazione e delle donne. Per la storiografia afro-americana, il ricco flusso di opere ha portato inevitabilmente a porsi degli interrogativi e dibattere vivacemente sul peso ricoperto dai leaders e dalle organizzazioni di base, sui rapporti col governo federale, sul ruolo delle donne e persino sulla cronologia stessa con cui datare il movimento, che nel suo flusso spesso tempestoso conobbe sicuramente momenti di cesura, ma riuscì anche ad inglobare molte delle passate esperienze di attivismo afro-americano, attraverso i ruoli svolti da persone ed organizzazioni in situazioni diverse, legate all’evoluzione di politiche locali e nazionali: personalità come A. Philip Randolph, Bayard Rustin ed Ella Baker rappresentano un elemento di continuità fra esperienze e lotte maturate negli anni ’30-’40, ed i nuovi sviluppi degli anni ’50-’60. La ricerca colloca oggi le origini del movimento nelle attività di alcune organizzazioni esistenti da decenni - come la National Association for the Advancement of Colored People (NAACP) o la Brotherhood of Sleeping Car Porters (BSCP) - che dispiegarono un particolare attivismo a partire dalla seconda guerra mondiale, quando venne lanciata la Double V Campaign, per ottenere accanto alla vittoria sul nazifascismo, anche una vittoria interna contro la segregazione razziale e la pratica orrenda dei linciaggi. Le conquiste progressivamente ottenute con l’assunzione di afro-americani nelle grandi aziende, e con la desegregazione dell’esercito, sono il substrato per la campagna di resistenza civile avviata negli anni Cinquanta, volta ad ottenere l’implementazione negli Stati del Sud delle storiche sentenze della Corte Suprema che stabilivano la de-segregazione di scuole e mezzi pubblici. Le ricerche più recenti mostrano che l’intero movimento poggiava su reti comunitarie complesse ed articolate, che comprendevano sindacati, associazioni e congregazioni religiose. Centrale appare il ruolo delle donne, che spesso assumevano in prima persona anche i rischi personali legati alla resistenza passiva, come mostra il celebre esempio di Rosa Parks. Se Parks è un caso esemplare di militanza in movimenti grassroots, vi furono anche casi di leadership politica al femminile, di cui il più noto è forse quello di Ella Baker, attiva dagli anni Trenta ai Settanta. L’analisi del processo di mobilitazione riserva una parte importante al ruolo giocato dal metodo nonviolento adottato dalle organizzazioni di Martin Luther King, seguendo l’insegnamento di Gandhi, ma soprattutto coerentemente con le sue radici cristiane. In alcune città le chiese nere ebbero un ruolo essenziale nella mobilitazione, trovando nella propria autonoma tradizione una grande forza organizzativa e risorse di auto-finanziamento, insieme ad un’impronta spirituale profonda che è rimasta impressa nella memoria collettiva americana. Al fine di offrire una sintesi accessibile, e nel contempo render conto degli aspetti più innovativi della storiografia recente, il volume è strutturato su due percorsi: un percorso cronologico, che riassume le tappe principali del civil rights movement, con gli opportuni riferimenti al quadro storico americano del tempo; ed un percorso tematico, che consente di approfondire gli aspetti meno noti in Italia, attingendo alla vasta ricerca storica svolta negli ultimi decenni (in particolare, sulle attività delle comunità, sui movimenti grassroots e sul ruolo delle donne). Nella prima parte del volume sono riassunti gli aspetti essenziali della segregazione razziale vigente negli Stati Uniti fino agli anni Sessanta, ed alcuni elementi storici indispensabili per comprendere le origini del movimento per i diritti civili, che affondano in una secolare tradizione di resistenza, e trovano le prime espressioni di militanza esplicita nel periodo della Seconda guerra mondiale. La prospettiva storica allargata permette infatti di analizzare i movimenti a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta non come una sollevazione improvvisa, legata alla leadership carismatica di Martin Luther King, ma come il risultato di una lunga tradizione di organizzazione e militanza all’interno della comunità nera. Il concetto stesso di comunità nera richiede di essere destrutturato, poiché l’articolazione interna presenta differenze importanti: fra Nord e Sud, realtà urbane o rurali, fra classi diverse, determinate dalle appartenenze geografiche, dall’educazione e dal reddito; importantissima appare la componente di genere, con un ruolo delle donne estremamente attivo in tutte le fasi ed articolazioni del movimento. Infine, gli anni Sessanta presentano anche un’importante cesura generazionale, legata a maggiori possibilità di istruzione e di confronto interrazziale, che si traduce politicamente in una forte polemica fra l’organizzazione giovanile SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committee) ed organizzazioni “adulte” come la consolidata NAACP (National Association for the Advancement of Colored People) o la coalizione legata alle chiese nere SCLC (Southern Christian Leadership Conference), guidata da Martin Luther King, Jr. Un aspetto politico che sta sullo sfondo è la contrapposizione fra i governi locali e statali del Sud, spesso guidati dal partito democratico, ed il governo federale che pure negli anni Sessanta era guidato da presidenti democratici, impegnati in una difficile mediazione fra settori diversi del loro partito: al governo federale si rivolgevano le azioni nonviolente di massa guidate da King, con lo scopo di ottenere azioni più incisive da parte dell’esecutivo, dopo gli storici pronunciamenti della Corte Suprema. Una parte della militanza locale, come pure lo SNCC e personalità come Ella Baker, preferivano concentrare la propria attenzione sullo sviluppo di attività di base e di una leadership dal basso. Si trattava spesso di percorsi divergenti, di cui sono testimonianza le fratture avvenute alla metà degli anni Sessanta. Un trattazione di questi temi non può certo ignorare la figura di Martin Luther King, pur tentando di contestualizzarla nel quadro più ampio del movimento: il volume non intende essere una biografia di King, ma la sua figura emerge negli aspetti dialettici dei rapporti con i gruppi giovanili. La seconda parte del volume, articolata secondo un percorso tematico, vuole dare spazio agli aspetti meno noti della vita del movimento per i diritti civili, a partire dalla sua complessa articolazione organizzativa, che comprendeva sia sigle vecchie e gloriose, sia gruppi nuovi nati dopo l’esperienza assolutamente straordinaria del Montgomery Bus Boycott del 1955-56, che viene considerata il punto d’inizio del “nuovo” movimento, non solo per la scelta dell’azione diretta nonviolenta, ma anche per l’avvio di una mobilitazione di massa senza precedenti per la comunità afro-americana, soprattutto nel Sud. L’esperienza di Montgomery portò alla luce anche il ruolo fondamentale delle donne nelle organizzazioni di base, aprendo la strada per una serie di esperienze inedite. Valga come esempio quella delle community schools fondate da Septima Clark, in collaborazione con Highlander Folk School, una delle “piccole case” che fornivano strumenti all’intero movimento: in questo caso si trattava di educazione e formazione, finalizzata all’alfabetizzazione delle popolazioni rurali escluse dal diritto di voto dalle clausole sui literacy tests delle leggi segregazioniste.
Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili, 1940-1965.
VENTURINI, Nadia
2010-01-01
Abstract
Il movimento afro-americano per i diritti civili, sviluppatosi nel secondo dopoguerra negli Stati Uniti, fu un evento di grande portata politica e sociale, tale da incidere sugli equilibri elettorali della società americana a partire dagli anni Sessanta, in considerazione del fatto che i neri rappresentavano oltre un decimo della popolazione totale, mentre nel Profondo Sud superavano il 25%, ed in larghe zone dalla Louisiana alla South Carolina, note come Black Belt, ancora nel 1965 costituivano oltre metà della popolazione. Negli anni Sessanta il movimento ebbe ripercussioni anche sui settori studenteschi e sulle altre minoranze etniche, innescando un decennio di proteste culminate nel movimento pacifista contro la guerra in Vietnam. Una conseguenza indiretta del movimento e delle leggi federali approvate, consiste nel riallineamento elettorale nel Sud, che privilegia i settori conservatori del partito repubblicano, a discapito del monolitismo democratico che escludeva i neri dal voto prima degli anni Sessanta. L'immagine del civil rights movement proiettata dai media, specialmente al di fuori degli USA, si è concentrata sugli aspetti più popolari e controversi di leadership contrapposte senza approfondire la portata collettiva di movimenti spontanei ed auto-organizzati, spesso caratterizzati da una forte impronta religiosa e spirituale, ma anche da legami con organizzazioni sindacali, od associazioni interrazziali pronte a sostenere il movimento. La storiografia americana dedicata al movimento di liberazione nero negli ultimi decenni si è fatta carico di correggere l'immagine cristallizzata ereditata dai media, andando ad approfondire il ruolo delle organizzazioni di base che si mobilitarono per obiettivi di democrazia, uguaglianza e giustizia garantiti dalla Costituzione, ma pervicacemente negati ai cittadini neri, soprattutto negli Stati del Sud, in cui vigeva quella che è stata definita "cittadinanza di seconda classe". La storiografia americana sui diritti civili ed il movimento di liberazione degli afro-americani si è arricchita nell’ultimo ventennio di studi che mostrano un’origine anteriore ed un’articolazione più complessa all’interno della comunità, che trascende gli aspetti più noti degli anni Sessanta e la figura carismatica di Martin Luther King, Jr.. Il volume fa riferimento ad un settore storiografico statunitense che nell’ultimo ventennio ha ricevuto grande impulso da metodi di ricerca innovativi. Il corpus storiografico sul civil rights movement è impressionante per quantità, profondità e varietà della ricerca, ed è sostanzialmente poco noto nel panorama della ricerca italiana. L’importanza della storiografia americana sul movimento è emersa con forza negli ultimi decenni, grazie alla pubblicazione di opere che esplorano aspetti locali e nazionali del movimento, utilizzando categorie di genere e classe, ed individuando le segmentazioni culturali ed ideologiche della comunità nera, che appare meno compatta di quanto non suggerisca la sola categoria del colore. La ricerca ha utilizzato le fonti governative e gli archivi delle organizzazioni, interviste orali, statistiche, memorialistica e giornali, mostrando non solo intuito su filoni tematici ancora poco esplorati, ma anche una capacità di innovazione metodologica che ha molto arricchito il quadro complessivo della storiografia americana, debitrice a quella “nera” di un’abilità nell’uso delle fonti, ed una cogenza nell’interrogarsi, da cui hanno tratto beneficio molti settori della ricerca, in particolare la storia sociale, del lavoro, dell’immigrazione e delle donne. Per la storiografia afro-americana, il ricco flusso di opere ha portato inevitabilmente a porsi degli interrogativi e dibattere vivacemente sul peso ricoperto dai leaders e dalle organizzazioni di base, sui rapporti col governo federale, sul ruolo delle donne e persino sulla cronologia stessa con cui datare il movimento, che nel suo flusso spesso tempestoso conobbe sicuramente momenti di cesura, ma riuscì anche ad inglobare molte delle passate esperienze di attivismo afro-americano, attraverso i ruoli svolti da persone ed organizzazioni in situazioni diverse, legate all’evoluzione di politiche locali e nazionali: personalità come A. Philip Randolph, Bayard Rustin ed Ella Baker rappresentano un elemento di continuità fra esperienze e lotte maturate negli anni ’30-’40, ed i nuovi sviluppi degli anni ’50-’60. La ricerca colloca oggi le origini del movimento nelle attività di alcune organizzazioni esistenti da decenni - come la National Association for the Advancement of Colored People (NAACP) o la Brotherhood of Sleeping Car Porters (BSCP) - che dispiegarono un particolare attivismo a partire dalla seconda guerra mondiale, quando venne lanciata la Double V Campaign, per ottenere accanto alla vittoria sul nazifascismo, anche una vittoria interna contro la segregazione razziale e la pratica orrenda dei linciaggi. Le conquiste progressivamente ottenute con l’assunzione di afro-americani nelle grandi aziende, e con la desegregazione dell’esercito, sono il substrato per la campagna di resistenza civile avviata negli anni Cinquanta, volta ad ottenere l’implementazione negli Stati del Sud delle storiche sentenze della Corte Suprema che stabilivano la de-segregazione di scuole e mezzi pubblici. Le ricerche più recenti mostrano che l’intero movimento poggiava su reti comunitarie complesse ed articolate, che comprendevano sindacati, associazioni e congregazioni religiose. Centrale appare il ruolo delle donne, che spesso assumevano in prima persona anche i rischi personali legati alla resistenza passiva, come mostra il celebre esempio di Rosa Parks. Se Parks è un caso esemplare di militanza in movimenti grassroots, vi furono anche casi di leadership politica al femminile, di cui il più noto è forse quello di Ella Baker, attiva dagli anni Trenta ai Settanta. L’analisi del processo di mobilitazione riserva una parte importante al ruolo giocato dal metodo nonviolento adottato dalle organizzazioni di Martin Luther King, seguendo l’insegnamento di Gandhi, ma soprattutto coerentemente con le sue radici cristiane. In alcune città le chiese nere ebbero un ruolo essenziale nella mobilitazione, trovando nella propria autonoma tradizione una grande forza organizzativa e risorse di auto-finanziamento, insieme ad un’impronta spirituale profonda che è rimasta impressa nella memoria collettiva americana. Al fine di offrire una sintesi accessibile, e nel contempo render conto degli aspetti più innovativi della storiografia recente, il volume è strutturato su due percorsi: un percorso cronologico, che riassume le tappe principali del civil rights movement, con gli opportuni riferimenti al quadro storico americano del tempo; ed un percorso tematico, che consente di approfondire gli aspetti meno noti in Italia, attingendo alla vasta ricerca storica svolta negli ultimi decenni (in particolare, sulle attività delle comunità, sui movimenti grassroots e sul ruolo delle donne). Nella prima parte del volume sono riassunti gli aspetti essenziali della segregazione razziale vigente negli Stati Uniti fino agli anni Sessanta, ed alcuni elementi storici indispensabili per comprendere le origini del movimento per i diritti civili, che affondano in una secolare tradizione di resistenza, e trovano le prime espressioni di militanza esplicita nel periodo della Seconda guerra mondiale. La prospettiva storica allargata permette infatti di analizzare i movimenti a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta non come una sollevazione improvvisa, legata alla leadership carismatica di Martin Luther King, ma come il risultato di una lunga tradizione di organizzazione e militanza all’interno della comunità nera. Il concetto stesso di comunità nera richiede di essere destrutturato, poiché l’articolazione interna presenta differenze importanti: fra Nord e Sud, realtà urbane o rurali, fra classi diverse, determinate dalle appartenenze geografiche, dall’educazione e dal reddito; importantissima appare la componente di genere, con un ruolo delle donne estremamente attivo in tutte le fasi ed articolazioni del movimento. Infine, gli anni Sessanta presentano anche un’importante cesura generazionale, legata a maggiori possibilità di istruzione e di confronto interrazziale, che si traduce politicamente in una forte polemica fra l’organizzazione giovanile SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committee) ed organizzazioni “adulte” come la consolidata NAACP (National Association for the Advancement of Colored People) o la coalizione legata alle chiese nere SCLC (Southern Christian Leadership Conference), guidata da Martin Luther King, Jr. Un aspetto politico che sta sullo sfondo è la contrapposizione fra i governi locali e statali del Sud, spesso guidati dal partito democratico, ed il governo federale che pure negli anni Sessanta era guidato da presidenti democratici, impegnati in una difficile mediazione fra settori diversi del loro partito: al governo federale si rivolgevano le azioni nonviolente di massa guidate da King, con lo scopo di ottenere azioni più incisive da parte dell’esecutivo, dopo gli storici pronunciamenti della Corte Suprema. Una parte della militanza locale, come pure lo SNCC e personalità come Ella Baker, preferivano concentrare la propria attenzione sullo sviluppo di attività di base e di una leadership dal basso. Si trattava spesso di percorsi divergenti, di cui sono testimonianza le fratture avvenute alla metà degli anni Sessanta. Un trattazione di questi temi non può certo ignorare la figura di Martin Luther King, pur tentando di contestualizzarla nel quadro più ampio del movimento: il volume non intende essere una biografia di King, ma la sua figura emerge negli aspetti dialettici dei rapporti con i gruppi giovanili. La seconda parte del volume, articolata secondo un percorso tematico, vuole dare spazio agli aspetti meno noti della vita del movimento per i diritti civili, a partire dalla sua complessa articolazione organizzativa, che comprendeva sia sigle vecchie e gloriose, sia gruppi nuovi nati dopo l’esperienza assolutamente straordinaria del Montgomery Bus Boycott del 1955-56, che viene considerata il punto d’inizio del “nuovo” movimento, non solo per la scelta dell’azione diretta nonviolenta, ma anche per l’avvio di una mobilitazione di massa senza precedenti per la comunità afro-americana, soprattutto nel Sud. L’esperienza di Montgomery portò alla luce anche il ruolo fondamentale delle donne nelle organizzazioni di base, aprendo la strada per una serie di esperienze inedite. Valga come esempio quella delle community schools fondate da Septima Clark, in collaborazione con Highlander Folk School, una delle “piccole case” che fornivano strumenti all’intero movimento: in questo caso si trattava di educazione e formazione, finalizzata all’alfabetizzazione delle popolazioni rurali escluse dal diritto di voto dalle clausole sui literacy tests delle leggi segregazioniste.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.