I. La natura dei due filoni compositivi seguiti dal Pisida – i panegirici epici in onore dell’imperatore Eraclio (610-641) e i carmi religiosi di argomento morale e teologico – lascia ‘costituzionalmente’ poco o nessuno spazio all’espressione del riso. Anche dall’analisi dei brevi riferimenti interni al concetto di gelos si ricava una conferma della visione severa del poeta, poco propensa al libero sfogo del ridere. 1) Per Giorgio la risata sfrenata è infatti un connotato diabolico, un tratto fisiognomico inconfondibile di Satana (Chr. resurr. 95-96) e dei “figli di Satana” (pagani ed eretici che nella loro arroganza ridono dei cristiani: Sev. 51-55; Rest. Cruc. 10-11); anche se è ammissibile 2) un riso ‘giusto’ – per irridere il Maligno e gli errori dei superbi (Sev. 56-61, 531-535; Rest. Cruc. 101-103; Van. vit. 61-63; Hex. 819-824) – come pure 3) un riso ‘amaro’, un riso “che si unisce alle lacrime”, inevitabile di fronte al fatuo spettacolo della vita (Van. vit. 53-56, 89-91; Vit. hum. 1-4). II. Il cod. Parisinus Supplementum Graecum 690 tramanda tuttavia il carme In Alypium – un componimento scoptico contro un monaco deriso per le forme spropositate, il suo faccione, le grandi mascelle, il forte alito ed altro ancora –, da cui emerge una concezione pisidiana del gelos completamente diversa, un riso autentico che il commento si è proposto di enucleare. 1) Nella prima sezione (vv. 9-28), la fisicità corporale, indicata come oggetto del carme, rappresenta al tempo stesso la chiave per la lettura comica dell’intero componimento, sia negli elementi strutturali (la dedica, il motivo della verità e la richiesta di preghiere) sia nello sviluppo tematico sia nelle scelte lessicali (per lo scarto semantico che i vocaboli rivelano rispetto al linguaggio abituale del poeta). 2) Nei vv. 29-103 lo svolgimento del tema comico enunciato procede con un crescendo, attraverso tre parti successive: i vv. 29-44, in cui il Pisida sviluppa il burlesco attraverso la ridicola solennità dei ricordi classici unita al divertissement lessicale dei composti; i vv. 45-68, in cui il ridicolo è ricercato attraverso gli altisonanti ricordi mitologici, il paradossale accostamento a luoghi geografici famosi, le scelte lessicali e lo slancio semilirico delle ripetute esclamazioni finali; i vv. 79-103, dove la rappresentazione di Alipio è inquietante, e l’immagine che ne scaturisce suscita non solo ilarità e divertimento, ma anche repulsione, disagio, quasi sgomento. Qui lo scherno tocca l’apice e il burlesco si volge in grottesco. 3) Ma, inatteso, avviene il rivolgimento nella sezione conclusiva, vv. 104-121: alla derisione della deformità fisica il poeta oppone l’esaltazione dello splendore intellettuale e morale di Alipio, e i richiami burleschi sono ora sostituiti dalle citazioni bibliche. Il contrasto è netto, tuttavia non sminuisce, bensì esalta la forza comica dello svolgimento. Lo scherno del Pisida, in coerenza con quanto indicato da Aristotele (Poet. 1449a 32-37), fissa con precisione i termini dell’irrisione, che non sminuisce il valore della persona e non comporta biasimo contro l’anima. In questo modo diventa possibile un gelos puro, “senza lacrime”.

Riso e scherno in Giorgio di Pisidia. Il carme In Alypium

TARAGNA, Anna Maria
2004-01-01

Abstract

I. La natura dei due filoni compositivi seguiti dal Pisida – i panegirici epici in onore dell’imperatore Eraclio (610-641) e i carmi religiosi di argomento morale e teologico – lascia ‘costituzionalmente’ poco o nessuno spazio all’espressione del riso. Anche dall’analisi dei brevi riferimenti interni al concetto di gelos si ricava una conferma della visione severa del poeta, poco propensa al libero sfogo del ridere. 1) Per Giorgio la risata sfrenata è infatti un connotato diabolico, un tratto fisiognomico inconfondibile di Satana (Chr. resurr. 95-96) e dei “figli di Satana” (pagani ed eretici che nella loro arroganza ridono dei cristiani: Sev. 51-55; Rest. Cruc. 10-11); anche se è ammissibile 2) un riso ‘giusto’ – per irridere il Maligno e gli errori dei superbi (Sev. 56-61, 531-535; Rest. Cruc. 101-103; Van. vit. 61-63; Hex. 819-824) – come pure 3) un riso ‘amaro’, un riso “che si unisce alle lacrime”, inevitabile di fronte al fatuo spettacolo della vita (Van. vit. 53-56, 89-91; Vit. hum. 1-4). II. Il cod. Parisinus Supplementum Graecum 690 tramanda tuttavia il carme In Alypium – un componimento scoptico contro un monaco deriso per le forme spropositate, il suo faccione, le grandi mascelle, il forte alito ed altro ancora –, da cui emerge una concezione pisidiana del gelos completamente diversa, un riso autentico che il commento si è proposto di enucleare. 1) Nella prima sezione (vv. 9-28), la fisicità corporale, indicata come oggetto del carme, rappresenta al tempo stesso la chiave per la lettura comica dell’intero componimento, sia negli elementi strutturali (la dedica, il motivo della verità e la richiesta di preghiere) sia nello sviluppo tematico sia nelle scelte lessicali (per lo scarto semantico che i vocaboli rivelano rispetto al linguaggio abituale del poeta). 2) Nei vv. 29-103 lo svolgimento del tema comico enunciato procede con un crescendo, attraverso tre parti successive: i vv. 29-44, in cui il Pisida sviluppa il burlesco attraverso la ridicola solennità dei ricordi classici unita al divertissement lessicale dei composti; i vv. 45-68, in cui il ridicolo è ricercato attraverso gli altisonanti ricordi mitologici, il paradossale accostamento a luoghi geografici famosi, le scelte lessicali e lo slancio semilirico delle ripetute esclamazioni finali; i vv. 79-103, dove la rappresentazione di Alipio è inquietante, e l’immagine che ne scaturisce suscita non solo ilarità e divertimento, ma anche repulsione, disagio, quasi sgomento. Qui lo scherno tocca l’apice e il burlesco si volge in grottesco. 3) Ma, inatteso, avviene il rivolgimento nella sezione conclusiva, vv. 104-121: alla derisione della deformità fisica il poeta oppone l’esaltazione dello splendore intellettuale e morale di Alipio, e i richiami burleschi sono ora sostituiti dalle citazioni bibliche. Il contrasto è netto, tuttavia non sminuisce, bensì esalta la forza comica dello svolgimento. Lo scherno del Pisida, in coerenza con quanto indicato da Aristotele (Poet. 1449a 32-37), fissa con precisione i termini dell’irrisione, che non sminuisce il valore della persona e non comporta biasimo contro l’anima. In questo modo diventa possibile un gelos puro, “senza lacrime”.
2004
La poesia tardoantica e medievale. Atti del II Convegno internazionale di studi. Perugia, 15-16 novembre 2001
Edizioni dell'Orso
2 (Centro internazionale di studi sulla poesia greca e latina in età tardoantica e medievale. Quaderni)
179
206
9788876947629
Letteratura bizantina; Filologia bizantina; Giorgio di Pisidia; Riso
Anna Maria TARAGNA
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