La monografia La metafora della causalità giuridica, edita da Jovene, Napoli nel 2011, prende le mosse dalla precedente monografia: Teorie causali e rapporto di imputazione, edita da Jovene nel 1996, nella quale l’Autore aveva sottoposto ad una critica distruttiva i dogmi del neopositivismo scientifico, prospettando un abbandono della figura naturalistica della causalità e della concezione surrogatoria della statistica, il quale non fosse meramente declamatorio, come quello effettuato dalle molte teorie della rilevanza giuridica del nesso causale, mascherate da teorie dell’imputazione oggettiva dell’evento. Come già nel lavoro precedente, l’accostamento problematico alla questione causale giuspenalistica muove dalla convinzione che lo studio del diritto penale non possa prescindere da un approfondito controllo in ordine alla rispondenza a canoni di rigorosa criticità delle premesse metateoriche implicitamente accolte dai costruttori di teorie giuridiche. Con questa opera, l’indagine di ordine esegetico si salda con le ricerche di metascienza e con gli studi comparatistici, per confutare le tesi dominanti nella letteratura penalistica continentale e di common law, sensibilmente influenzate dall’adesione, non sempre consapevole, alle premesse epistemologiche della cultura del neopositivismo scientifico, vale a dire di un’immagine di scienza in crisi profonda e probabilmente irreversibile, che ha indotto una parte consistente della dottrina europea a configurare il nesso giuspenalistico di causalità come una relazione meccanicistica, intercorrente fra una condotta umana ed un evento naturalistico, ricalcata sull’espediente epistemologico galileiano della eliminazione mentale e su modelli statistico-probabilistici, incapaci di surrogare la figura pre-quantistica della determinazione nomogenetica. Rimosse le suggestioni generate da un eccessivo ossequio per la letteratura tedesca, la monografia procede ad una riconfigurazione del problema, che, abbandonando la ricerca lineare intraparadigmatica entro la quale si è adagiata la dottrina italiana, ricolloca il problema della causalità entro lo sfondo problematico della responsabilità e della offensività. In questo contesto, il rapporto di causalità risulta costituire una figurazione giuridica desumibile dai criteri di imputazione normativa dell’offesa adottati da ogni peculiare ordinamento; la precisazione del contenuto del rapporto risulta, dunque, essere una questione rigidamente di diritto positivo, risolubile attraverso un’indagine prettamente interpretativa. L’accostamento prospettato negli anni Trenta del secolo scorso dai primi teorici della objektive Zurechnungslehre viene così riconfigurato in chiave del tutto originale rispetto alla tradizione sapienziale germanica perché, a differenza dei predecessori tedeschi (e dei loro imitatori italiani), l’indagine è condotta su di un piano rigorosamente esegetico, teso a ricavare la nozione codicistica di causalità dalle indicazioni implicite ed esplicite della legge (e, in particolare, dalla definizione indiretta, celata nel capoverso dell’art. 40 del codice penale italiano). In questo contesto, emerge come il legislatore del 1930, precorrendo le acquisizioni della metascienza contemporanea, avesse emancipato la figura causale dall’ipoteca neo-fisicalistica e avesse costruito unitariamente l’intero rapporto di imputazione (soggettiva e oggettiva) in funzione di una situazione giuridicamente offensiva, non riducibile semplicisticamente ad un avvenimento esteriore. A differenza di quanto sostenuto dai fautori antichi e moderni della ‘sussunzione sotto leggi scientifiche’, il rapporto di imputazione, metaforicamente designato dal codice italiano come rapporto causale, costituisce una figura qualificata avente la struttura di un elemento normativo, il cui nucleo centrale risulta articolarsi entro un duplice ordine di idee complementari: da un lato, l’impedibilità, da parte dell’autore dell’illecito, della situazione finale che il legislatore intende evitare con la minaccia della sanzione, dall’altro, la congruità dell’offesa rispetto alla capacità offensiva della condotta. Rispetto a questo contenuto indivisibile di estrazione legale, le regole della scienza e dell’esperienza regrediscono a presupposti di applicazione, strumentali alla concretizzazione di un nucleo significativo sufficientemente determinato e perciò rispettoso dei principi della riserva di legge e della determinatezza.
La metafora della causalità giuridica
LICCI, Giorgio
2011-01-01
Abstract
La monografia La metafora della causalità giuridica, edita da Jovene, Napoli nel 2011, prende le mosse dalla precedente monografia: Teorie causali e rapporto di imputazione, edita da Jovene nel 1996, nella quale l’Autore aveva sottoposto ad una critica distruttiva i dogmi del neopositivismo scientifico, prospettando un abbandono della figura naturalistica della causalità e della concezione surrogatoria della statistica, il quale non fosse meramente declamatorio, come quello effettuato dalle molte teorie della rilevanza giuridica del nesso causale, mascherate da teorie dell’imputazione oggettiva dell’evento. Come già nel lavoro precedente, l’accostamento problematico alla questione causale giuspenalistica muove dalla convinzione che lo studio del diritto penale non possa prescindere da un approfondito controllo in ordine alla rispondenza a canoni di rigorosa criticità delle premesse metateoriche implicitamente accolte dai costruttori di teorie giuridiche. Con questa opera, l’indagine di ordine esegetico si salda con le ricerche di metascienza e con gli studi comparatistici, per confutare le tesi dominanti nella letteratura penalistica continentale e di common law, sensibilmente influenzate dall’adesione, non sempre consapevole, alle premesse epistemologiche della cultura del neopositivismo scientifico, vale a dire di un’immagine di scienza in crisi profonda e probabilmente irreversibile, che ha indotto una parte consistente della dottrina europea a configurare il nesso giuspenalistico di causalità come una relazione meccanicistica, intercorrente fra una condotta umana ed un evento naturalistico, ricalcata sull’espediente epistemologico galileiano della eliminazione mentale e su modelli statistico-probabilistici, incapaci di surrogare la figura pre-quantistica della determinazione nomogenetica. Rimosse le suggestioni generate da un eccessivo ossequio per la letteratura tedesca, la monografia procede ad una riconfigurazione del problema, che, abbandonando la ricerca lineare intraparadigmatica entro la quale si è adagiata la dottrina italiana, ricolloca il problema della causalità entro lo sfondo problematico della responsabilità e della offensività. In questo contesto, il rapporto di causalità risulta costituire una figurazione giuridica desumibile dai criteri di imputazione normativa dell’offesa adottati da ogni peculiare ordinamento; la precisazione del contenuto del rapporto risulta, dunque, essere una questione rigidamente di diritto positivo, risolubile attraverso un’indagine prettamente interpretativa. L’accostamento prospettato negli anni Trenta del secolo scorso dai primi teorici della objektive Zurechnungslehre viene così riconfigurato in chiave del tutto originale rispetto alla tradizione sapienziale germanica perché, a differenza dei predecessori tedeschi (e dei loro imitatori italiani), l’indagine è condotta su di un piano rigorosamente esegetico, teso a ricavare la nozione codicistica di causalità dalle indicazioni implicite ed esplicite della legge (e, in particolare, dalla definizione indiretta, celata nel capoverso dell’art. 40 del codice penale italiano). In questo contesto, emerge come il legislatore del 1930, precorrendo le acquisizioni della metascienza contemporanea, avesse emancipato la figura causale dall’ipoteca neo-fisicalistica e avesse costruito unitariamente l’intero rapporto di imputazione (soggettiva e oggettiva) in funzione di una situazione giuridicamente offensiva, non riducibile semplicisticamente ad un avvenimento esteriore. A differenza di quanto sostenuto dai fautori antichi e moderni della ‘sussunzione sotto leggi scientifiche’, il rapporto di imputazione, metaforicamente designato dal codice italiano come rapporto causale, costituisce una figura qualificata avente la struttura di un elemento normativo, il cui nucleo centrale risulta articolarsi entro un duplice ordine di idee complementari: da un lato, l’impedibilità, da parte dell’autore dell’illecito, della situazione finale che il legislatore intende evitare con la minaccia della sanzione, dall’altro, la congruità dell’offesa rispetto alla capacità offensiva della condotta. Rispetto a questo contenuto indivisibile di estrazione legale, le regole della scienza e dell’esperienza regrediscono a presupposti di applicazione, strumentali alla concretizzazione di un nucleo significativo sufficientemente determinato e perciò rispettoso dei principi della riserva di legge e della determinatezza.File | Dimensione | Formato | |
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