Nonostante l'Unione europea solleciti da tempo politiche nazionali d'incoraggiamento dell'invecchiamento attivo, la predisposizione di misure capaci di sostenere e accompagnare il prolungamento della vita lavorativa determinato dal diffuso innalzamento delle età di accesso alle prestazioni previdenziali resta ancora episodica e frammentaria. In attesa della definizione, col contributo dei molteplici attori chiamati in causa sui diversi fronti coinvolti, di strategie globali e coerenti di active ageing, con la direttiva 2000/78 il legislatore comunitario ha introdotto un divieto di discriminazioni per età in ambito lavorativo che, seppur diretto a tutelare anche i giovani e le persone di mezza età, ha trovato origine soprattutto nelle preoccupazioni collegate al più intenso coinvolgimento degli anziani nella popolazione economicamente attiva. Intorno al divieto di discriminazioni per età si è sviluppata nell'ultimo decennio, a livello europeo, un'intensa elaborazione giurisprudenziale, generata in ampia misura, non casualmente, da rivendicazioni avanzate da lavoratori anziani, molto spesso in lotta contro meccanismi di pensionamento forzato di varia natura ad essi applicabili (regole legali o contrattual-collettive che prevedono la risoluzione automatica del contratto di lavoro al raggiungimento dell'età pensionabile, oppure regimi di licenziabilità ad nutum dei lavoratori che possono accedere ai trattamenti pensionistici, ma talvolta anche misure disincentivanti sul piano economico la scelta di continuare a lavorare che pure è resa praticabile dalla legislazione del singolo Stato). E' su questa giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea che si concentra l'analisi. A fronte delle risposte scarsamente soddisfacenti fornite dai giudici di Lussemburgo alle istanze dei pensionati involontari, ma anche di alcune loro prese di posizione in netta controtendenza rispetto all'indifferenza manifestata in genere verso le aspirazioni di prolungamento della vita economicamente attiva di lavoratori che potrebbero tagliare il traguardo pensionistico, l'ipotesi che la ricerca punta a dimostrare è l'esistenza di un disegno unitario e coerente che guida consapevolmente le scelte interpretative dei giudici europei. In particolare, sarebbe il deliberato atteggiamento di self-restraint adottato dalla Corte di Giustizia nell'esercizio del sindacato effettuabile sui regimi pensionistici nazionali alla luce del paradigma antidiscriminatorio a poter spiegare apparenti contraddizioni della sua giurisprudenza: vale a dire, da un lato, la ferma resistenza opposta al tentativo di contrastare, con l'arma del divieto di discriminazioni in base all'età, le regole vigenti negli Stati membri dell'Unione che in vario modo impongono la cessazione dell'attività lavorativa al raggiungimento di una certa soglia anagrafica, senza prestare alcun riguardo al problema dell'assai modesta e insufficiente prestazione previdenziale spettante in qualche caso ai lavoratori; dall'altro, invece, la propensione a tutelare con quella stessa arma le aspettative lavorative di dipendenti per i quali il rinvio del traguardo pensionistico, consentito dal regime nazionale, è funzionale al miglioramento di posizioni previdenziali già accettabili. Il rispetto delle scelte compiute dagli Stati membri nella definizione dei propri sistemi di welfare, all'interno dei quali l'obiettivo di agevolazione dell'invecchiamento attivo è perseguito con gradi ben diversi di congruità e rigore, costituirebbe dunque la stella polare che guida l'interpretazione giurisprudenziale del divieto comunitario di discriminazioni basate sull'età, dalla quale esulerebbero invece finalità schiettamente redistributive. All'analisi delle dinamiche aperte a livello europeo la ricerca affianca inoltre quella del contesto normativo del nostro Paese, caratterizzato da un grado d'invecchiamento della popolazione particolarmente pronunciato (complice il basso tasso di natalità), nonché da una percentuale di lavoratori d'età compresa tra i 50 e i 64 anni inferiore alla media europea, e nel quale dunque la prospettiva dell'active ageing risulta particolarmente delicata.

Active ageing e divieti di discriminazioni in base all'età: quali tutele per i lavoratori anziani dell'Unione europea?

IZZI, Daniela
2014-01-01

Abstract

Nonostante l'Unione europea solleciti da tempo politiche nazionali d'incoraggiamento dell'invecchiamento attivo, la predisposizione di misure capaci di sostenere e accompagnare il prolungamento della vita lavorativa determinato dal diffuso innalzamento delle età di accesso alle prestazioni previdenziali resta ancora episodica e frammentaria. In attesa della definizione, col contributo dei molteplici attori chiamati in causa sui diversi fronti coinvolti, di strategie globali e coerenti di active ageing, con la direttiva 2000/78 il legislatore comunitario ha introdotto un divieto di discriminazioni per età in ambito lavorativo che, seppur diretto a tutelare anche i giovani e le persone di mezza età, ha trovato origine soprattutto nelle preoccupazioni collegate al più intenso coinvolgimento degli anziani nella popolazione economicamente attiva. Intorno al divieto di discriminazioni per età si è sviluppata nell'ultimo decennio, a livello europeo, un'intensa elaborazione giurisprudenziale, generata in ampia misura, non casualmente, da rivendicazioni avanzate da lavoratori anziani, molto spesso in lotta contro meccanismi di pensionamento forzato di varia natura ad essi applicabili (regole legali o contrattual-collettive che prevedono la risoluzione automatica del contratto di lavoro al raggiungimento dell'età pensionabile, oppure regimi di licenziabilità ad nutum dei lavoratori che possono accedere ai trattamenti pensionistici, ma talvolta anche misure disincentivanti sul piano economico la scelta di continuare a lavorare che pure è resa praticabile dalla legislazione del singolo Stato). E' su questa giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea che si concentra l'analisi. A fronte delle risposte scarsamente soddisfacenti fornite dai giudici di Lussemburgo alle istanze dei pensionati involontari, ma anche di alcune loro prese di posizione in netta controtendenza rispetto all'indifferenza manifestata in genere verso le aspirazioni di prolungamento della vita economicamente attiva di lavoratori che potrebbero tagliare il traguardo pensionistico, l'ipotesi che la ricerca punta a dimostrare è l'esistenza di un disegno unitario e coerente che guida consapevolmente le scelte interpretative dei giudici europei. In particolare, sarebbe il deliberato atteggiamento di self-restraint adottato dalla Corte di Giustizia nell'esercizio del sindacato effettuabile sui regimi pensionistici nazionali alla luce del paradigma antidiscriminatorio a poter spiegare apparenti contraddizioni della sua giurisprudenza: vale a dire, da un lato, la ferma resistenza opposta al tentativo di contrastare, con l'arma del divieto di discriminazioni in base all'età, le regole vigenti negli Stati membri dell'Unione che in vario modo impongono la cessazione dell'attività lavorativa al raggiungimento di una certa soglia anagrafica, senza prestare alcun riguardo al problema dell'assai modesta e insufficiente prestazione previdenziale spettante in qualche caso ai lavoratori; dall'altro, invece, la propensione a tutelare con quella stessa arma le aspettative lavorative di dipendenti per i quali il rinvio del traguardo pensionistico, consentito dal regime nazionale, è funzionale al miglioramento di posizioni previdenziali già accettabili. Il rispetto delle scelte compiute dagli Stati membri nella definizione dei propri sistemi di welfare, all'interno dei quali l'obiettivo di agevolazione dell'invecchiamento attivo è perseguito con gradi ben diversi di congruità e rigore, costituirebbe dunque la stella polare che guida l'interpretazione giurisprudenziale del divieto comunitario di discriminazioni basate sull'età, dalla quale esulerebbero invece finalità schiettamente redistributive. All'analisi delle dinamiche aperte a livello europeo la ricerca affianca inoltre quella del contesto normativo del nostro Paese, caratterizzato da un grado d'invecchiamento della popolazione particolarmente pronunciato (complice il basso tasso di natalità), nonché da una percentuale di lavoratori d'età compresa tra i 50 e i 64 anni inferiore alla media europea, e nel quale dunque la prospettiva dell'active ageing risulta particolarmente delicata.
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http://www.espanet-italia.net/images/conferenza2014/sessioni/sessione_8/izzi.pdf
invecchiamento attivo; pensionamenti forzati; dscriminazioni per età
Daniela Izzi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/155494
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