I paradigmi dei Cultural Studies e della New Musicology di matrice anglofona hanno avuto un ruolo centrale nello sviluppo di studi sulla popular culture nel nostro Paese (e, più in generale, nello “sdoganamento” di tali temi nell’accademia). Gli studi sulla popular music italiana, più nello specifico, si sono definiti da subito in una dialettica tra soggetti “interni” e prospettive “esterne”, queste ultime alimentate anche da una crescente attenzione di ricercatori stranieri verso temi italiani e dal dialogo in sede internazionale. Ciò è avvenuto non senza contraddizioni, ben riassunte dal ricco e spesso aspro dibattito circa l’opportunità di adottare o meno anche in Italia la locuzione popular music; e dall’impossibilità – che è ancora tale – di sovrapporre completamente il concetto di “cultura popolare” con quello di “popular culture”, almeno nel contesto delle scienze musicologiche. In questo sembra pesare ancora l’eredità di una fertile tradizione di studi folklorici che intendeva il popolare, in termini fortemente politicizzati, come subalterno e antagonista alla cultura dominante e alla cultura di massa, sulla scia di una particolare interpretazione di Gramsci (come ben rilevato in tempi recenti nell’ambito degli studi antropologici da Fabio Dei). Lo stesso Gramsci, al contempo, contribuiva a fondare gli studi culturali e sulla popular culture in area anglofona (in riferimento soprattutto alla scuola di Birmingham) e a orientarli in una direzione differente, a sua volta “re-importata” in Italia dai “nuovi” studi sulla popular music. È ora possibile, a posteriori, riflettere in una prospettiva di storia culturale su queste contraddizioni e sulle loro conseguenze nell’organizzare strategie e ambiti degli studi sulla popular music in Italia; con l’obiettivo di rafforzare le fondamenta della disciplina, nel più ampio campo degli studi sui media.

I due Gramsci. Per un’archeologia del popolare musicale in Italia

Tomatis, Jacopo
2021-01-01

Abstract

I paradigmi dei Cultural Studies e della New Musicology di matrice anglofona hanno avuto un ruolo centrale nello sviluppo di studi sulla popular culture nel nostro Paese (e, più in generale, nello “sdoganamento” di tali temi nell’accademia). Gli studi sulla popular music italiana, più nello specifico, si sono definiti da subito in una dialettica tra soggetti “interni” e prospettive “esterne”, queste ultime alimentate anche da una crescente attenzione di ricercatori stranieri verso temi italiani e dal dialogo in sede internazionale. Ciò è avvenuto non senza contraddizioni, ben riassunte dal ricco e spesso aspro dibattito circa l’opportunità di adottare o meno anche in Italia la locuzione popular music; e dall’impossibilità – che è ancora tale – di sovrapporre completamente il concetto di “cultura popolare” con quello di “popular culture”, almeno nel contesto delle scienze musicologiche. In questo sembra pesare ancora l’eredità di una fertile tradizione di studi folklorici che intendeva il popolare, in termini fortemente politicizzati, come subalterno e antagonista alla cultura dominante e alla cultura di massa, sulla scia di una particolare interpretazione di Gramsci (come ben rilevato in tempi recenti nell’ambito degli studi antropologici da Fabio Dei). Lo stesso Gramsci, al contempo, contribuiva a fondare gli studi culturali e sulla popular culture in area anglofona (in riferimento soprattutto alla scuola di Birmingham) e a orientarli in una direzione differente, a sua volta “re-importata” in Italia dai “nuovi” studi sulla popular music. È ora possibile, a posteriori, riflettere in una prospettiva di storia culturale su queste contraddizioni e sulle loro conseguenze nell’organizzare strategie e ambiti degli studi sulla popular music in Italia; con l’obiettivo di rafforzare le fondamenta della disciplina, nel più ampio campo degli studi sui media.
2021
37
83
98
Popolare, popular, Gramsci, Canzone italiana
Tomatis, Jacopo
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