Moses Isegawa, scrittore ugandese dell’ultima generazione divenuto famoso in tutto il mondo con i suoi romanzi Cronache Africane (Abyssinian Chronicles, 2001) e La fossa del serpente (Snakepit, 2005), ci conduce alla scoperta di Kampala, caotica e multietnica capitale dell’Uganda, teatro negli ultimi anni di un rapidissimo sviluppo economico, cui si accompagna una crescita costante di immigrati e profughi provenienti da tutta la travagliata regione dei Grandi Laghi che vanno a popolare i sempre più vasti e numerosi slum cittadini. Come in molte altre città africane, il contrasto tra l’opulenza dei quartieri ricchi e la miseria degli slum è di giorno in giorno più stridente. Isegawa ci racconta la sua città: edificata su alte colline un tempo occupate dall’ultima capitale dell’antico regno del Buganda, Kampala ha molte storie da raccontare, che si stratificano le une sulle altre lasciando tracce ben visibili nel panorama cittadino. La vita di quello che fu certamente uno dei più importanti e raffinati regni dell’Africa pre-coloniale fu infatti sconvolta dapprima dall’arrivo verso il 1850 degli arabi, commercianti d’avorio, di schiavi e di altri beni, e pochi anni dopo degli esploratori europei (per primo John Hanning Speke, giunto alla corte del Buganda nel 1862, durante il viaggio in cui scoprì le sorgenti del Nilo presso la vicina Jinja), avanguardia dei missionari anglicani e cattolici, i quali contribuirono a scatenare ben presto un violento conflitto religioso. L’instaurarsi del protettorato britannico (1900) coincide con la costruzione della ferrovia che metterà in comunicazione la costa swahili – aperta ai commerci con l’Europa e l’Asia – con i territori che si affacciano sul lago Vittoria. Con la ferrovia arrivano diverse ondate di immigrati da varie regioni del subcontinente indiano; favoriti dal sistema coloniale assumeranno ben presto un ruolo trainante nell’economia del paese. Poi l’indipendenza e gli anni bui che vi seguirono, con i governi di Milton Obote e di Idi Amin. A partire dal 1986 il presidente Yoseveri Museveni riuscirà a ristabilire la pace, garantendo all’Uganda uno sviluppo economico e culturale che non molti paesi africani possono vantare. Tutto questo ci racconta Isegawa, con l’arte del narratore di storie, accompagnandoci passo passo nei luoghi della città che meglio mettono in evidenza la complessità di una società che ha saputo assorbire elementi dall’esterno, senza mai rinunciare alla sua identità. Ma la storia dell’Uganda, e in particolare di Kampala, è soprattutto storia dell’incontro e spesso anche dello scontro tra religioni diverse, un caleidoscopio variegato che oggi, finalmente sembra aver trovato un equilibrio nel pluralismo delle pratiche e delle credenze. Isegawa, profondo conoscitore dell’universo religioso - essendosi formato all’interno di un seminario cattolico - approfondisce questo aspetto cruciale della storia ugandese, che intreccia la spiritualità tradizionale (incentrata sulla possessione spiritica), tornata ad essere apertamente praticata a partire dalla restaurazione nel 1993 dei regni tradizionali, con le “Religioni del Libro” nelle loro diverse espressioni, cui oggi si aggiunge il pentecostalismo, religione “globale” che da dieci anni a questa parte sta assorbendo in Africa numeri sempre più alti di fedeli attratti da pratiche sensuali ed emozionanti, per molti aspetti più vicine all’esperienza tradizionale; e poi ancora le comunità indiane di religione sikh e hindu, rientrate dopo l’espulsione voluta da Amin nel 1972, e una piccola comunità che negli anni venti “inventò” un suo peculiare ebraismo. La vita degli abitanti di Kampala, degli immigrati degli slum come dei ricchi imprenditori impegnati nel commercio e negli affari, si riflette e si esprime in questo mosaico di pratiche religiose, cui ciascuno dedica molto del suo tempo, delle sue risorse ed energie. Con Isegawa incontreremo persone che ci parleranno della loro fede nella presenza degli spiriti o nelle diverse divinità giunte da fuori. Saremo testimoni di questa fede, che a Kampala è al centro dei pensieri di ognuno, e delle pratiche spesso violente e spettacolari ad essa associata: a queste entità invisibili ci si affida nella speranza della salvezza, della guarigione, della serenità e anche della ricchezza. Condizioni materiali di grande indigenza, insicurezza e precarietà, segnate dalla diffusione estrema di malattie epidemiche (l’AIDS prima di tutto), dal declino delle strutture sociali e familiari tradizionali, ma allo stesso tempo da uno straordinario dinamismo economico che promette rapidi guadagni, fanno da scenario a pratiche e credenze della più diversa natura e denominazione, dove si riversano i desideri più intimi e profondi di ciascuno.

Kampala Babel

PENNACINI, Cecilia
2008-01-01

Abstract

Moses Isegawa, scrittore ugandese dell’ultima generazione divenuto famoso in tutto il mondo con i suoi romanzi Cronache Africane (Abyssinian Chronicles, 2001) e La fossa del serpente (Snakepit, 2005), ci conduce alla scoperta di Kampala, caotica e multietnica capitale dell’Uganda, teatro negli ultimi anni di un rapidissimo sviluppo economico, cui si accompagna una crescita costante di immigrati e profughi provenienti da tutta la travagliata regione dei Grandi Laghi che vanno a popolare i sempre più vasti e numerosi slum cittadini. Come in molte altre città africane, il contrasto tra l’opulenza dei quartieri ricchi e la miseria degli slum è di giorno in giorno più stridente. Isegawa ci racconta la sua città: edificata su alte colline un tempo occupate dall’ultima capitale dell’antico regno del Buganda, Kampala ha molte storie da raccontare, che si stratificano le une sulle altre lasciando tracce ben visibili nel panorama cittadino. La vita di quello che fu certamente uno dei più importanti e raffinati regni dell’Africa pre-coloniale fu infatti sconvolta dapprima dall’arrivo verso il 1850 degli arabi, commercianti d’avorio, di schiavi e di altri beni, e pochi anni dopo degli esploratori europei (per primo John Hanning Speke, giunto alla corte del Buganda nel 1862, durante il viaggio in cui scoprì le sorgenti del Nilo presso la vicina Jinja), avanguardia dei missionari anglicani e cattolici, i quali contribuirono a scatenare ben presto un violento conflitto religioso. L’instaurarsi del protettorato britannico (1900) coincide con la costruzione della ferrovia che metterà in comunicazione la costa swahili – aperta ai commerci con l’Europa e l’Asia – con i territori che si affacciano sul lago Vittoria. Con la ferrovia arrivano diverse ondate di immigrati da varie regioni del subcontinente indiano; favoriti dal sistema coloniale assumeranno ben presto un ruolo trainante nell’economia del paese. Poi l’indipendenza e gli anni bui che vi seguirono, con i governi di Milton Obote e di Idi Amin. A partire dal 1986 il presidente Yoseveri Museveni riuscirà a ristabilire la pace, garantendo all’Uganda uno sviluppo economico e culturale che non molti paesi africani possono vantare. Tutto questo ci racconta Isegawa, con l’arte del narratore di storie, accompagnandoci passo passo nei luoghi della città che meglio mettono in evidenza la complessità di una società che ha saputo assorbire elementi dall’esterno, senza mai rinunciare alla sua identità. Ma la storia dell’Uganda, e in particolare di Kampala, è soprattutto storia dell’incontro e spesso anche dello scontro tra religioni diverse, un caleidoscopio variegato che oggi, finalmente sembra aver trovato un equilibrio nel pluralismo delle pratiche e delle credenze. Isegawa, profondo conoscitore dell’universo religioso - essendosi formato all’interno di un seminario cattolico - approfondisce questo aspetto cruciale della storia ugandese, che intreccia la spiritualità tradizionale (incentrata sulla possessione spiritica), tornata ad essere apertamente praticata a partire dalla restaurazione nel 1993 dei regni tradizionali, con le “Religioni del Libro” nelle loro diverse espressioni, cui oggi si aggiunge il pentecostalismo, religione “globale” che da dieci anni a questa parte sta assorbendo in Africa numeri sempre più alti di fedeli attratti da pratiche sensuali ed emozionanti, per molti aspetti più vicine all’esperienza tradizionale; e poi ancora le comunità indiane di religione sikh e hindu, rientrate dopo l’espulsione voluta da Amin nel 1972, e una piccola comunità che negli anni venti “inventò” un suo peculiare ebraismo. La vita degli abitanti di Kampala, degli immigrati degli slum come dei ricchi imprenditori impegnati nel commercio e negli affari, si riflette e si esprime in questo mosaico di pratiche religiose, cui ciascuno dedica molto del suo tempo, delle sue risorse ed energie. Con Isegawa incontreremo persone che ci parleranno della loro fede nella presenza degli spiriti o nelle diverse divinità giunte da fuori. Saremo testimoni di questa fede, che a Kampala è al centro dei pensieri di ognuno, e delle pratiche spesso violente e spettacolari ad essa associata: a queste entità invisibili ci si affida nella speranza della salvezza, della guarigione, della serenità e anche della ricchezza. Condizioni materiali di grande indigenza, insicurezza e precarietà, segnate dalla diffusione estrema di malattie epidemiche (l’AIDS prima di tutto), dal declino delle strutture sociali e familiari tradizionali, ma allo stesso tempo da uno straordinario dinamismo economico che promette rapidi guadagni, fanno da scenario a pratiche e credenze della più diversa natura e denominazione, dove si riversano i desideri più intimi e profondi di ciascuno.
2008
C. PENNACINI
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/47201
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