Nel corso degli anni la medicina ha fatto enormi progressi in campo scientifico e tecnologico che hanno portato ad indubbi vantaggi sul piano diagnostico-terapeutico. D’altro canto, però, questa evoluzione della medicina moderna ha condotto ad un tipo di approccio sempre più centrato sulla specifica malattia (disease centered approach), rischiando così di ridurre la medicina stessa alla mera applicazione di una tecnica [1] e trasformando il rapporto medico-paziente in una “prestazione di servizi”, senza tener conto che esso dovrebbe essere innanzitutto “attenzione ad una persona”. Tale approccio rischia di essere inevitabilmente centrato sul medico, detentore del sapere biomedico basato su protocolli e linee guida, e non sul paziente (secondo un criterio di patient centered approach), [1] che in questo contesto non può far altro che affidarsi a chi si dovrebbe prendere cura di lui. In realtà bisognerebbe sempre tener presente che ogni richiesta di cura racchiude non soltanto una semplice richiesta di aiuto tecnico, ma anche un’esigenza di relazione, la quale si instaura fin dal primo contatto. Particolare attenzione dovrebbe quindi essere posta già a partire dall’accoglienza del paziente. Molto spesso il ricovero viene vissuto negativamente, sia per il timore della malattia in sé, sia per il disagio che si può generare dal ricovero stesso. È importante quindi non focalizzare l’attenzione solo sulla malattia che ha condotto in ospedale il paziente, ma anche e soprattutto sull’individuo che ci si trova davanti, su quali sono i suoi bisogni in quanto persona, prima che come malato. Un’integrazione degli aspetti biomedici e psicosociali della cura può essere ottenuta solo attraverso il patient centered approach [2]. Il punto cruciale di questo tipo di approccio risiede nella relazione medico-paziente che si avvale della comunicazione, sia essa verbale o non verbale, come strumento di avvicinamento delle due parti. Tramite una comunicazione efficace si favorisce la raccolta delle informazioni migliorando il processo diagnostico [2], la soddisfazione del paziente [3] e nel complesso il successo terapeutico [4]. Inoltre è fondamentale che il medico sappia creare un clima di dialogo, in cui il paziente abbia l’opportunità di porre domande ed esprimere i propri dubbi e le proprie paure: solo in questo contesto il paziente potrà acquisire tutte le informazioni di cui necessita riguardo la propria condizione, in modo da arrivare ad una comprensione ed accettazione più profonde del proprio status [1], necessarie per una corretta compliance ed aderenza al trattamento [2]. Il ruolo del medico è quindi quello di saper valutare non solo la malattia, ma complessivamente la storia del singolo paziente [5], i suoi bisogni e le sue aspettative [2, 5, 6], il suo livello di comprensione, il suo bisogno di informazione, e la sua volontà di prender più o meno parte al processo decisionale [6], in una continua “negoziazione” con lui al fine di giungere ad un accordo che soddisfi entrambe le parti [2]. Uno sforzo per il futuro potrebbe essere quello di integrare i due tipi di approccio, quello centrato esclusivamente sulla malattia e quello centrato sul paziente, focalizzando l’attenzione sul ruolo chiave rivestito dalla comunicazione medico-paziente [6]. Risulta quindi di fondamentale importanza favorire, all’interno della formazione medica, non solo l’acquisizione di nozioni tecnico-biomediche, ma anche di specifiche abilità comunicative, ad esempio tramite la partecipazione ad esercitazioni condotte da personale con esperienza in ambito psicologico, sociologico, antropologico o educativo [7]. BIBLIOGRAFIA 1. Bensing JM, Tromp F, van Dulmen S, van den Brink-Muinen A, Verheul W, Schellevis G. Shifts in doctor-patient communication between 1986 and 2002: a study of videotaped General Practice consultations with hypertension patients. BMC Fam Pract 2006,7:62 2. Kern DE, Branch WT, Jackson JL, Brady DW, Feldman MD, Levinson W, Lipkin M. Theaching the psychosocial aspects of care in the clinical setting: practical recommendations. Acad Med 2005;80:8-20 3. Williams S, Wienman J, Dale J. Doctor-patient communication and patient satisfaction: a review. Family Practice 1998;15:480-92 4. Stewart MA. Effective physician-patient communication and health outcomes: a review. CMAJ 1995;152(9):1423-33 5. Kaba R, Sooriakumaran P. The evolution of the doctor-patient relationship. International Journal of Surgery (2007) 5;57-65. 6. Bensing J. Bridging the gap. The separate worlds of evidence-based medicine and patient-based medicine. Patient Education and Counseling 2000;39:17-25 7. Brown J. How clinical communication has become a core part of medical education in UK. Medical Education 2008;42:271-278

Un nuovo e diverso modo di accogliere il paziente in ospedale: è già terapia?

BENEDETTO, Chiara;
2009-01-01

Abstract

Nel corso degli anni la medicina ha fatto enormi progressi in campo scientifico e tecnologico che hanno portato ad indubbi vantaggi sul piano diagnostico-terapeutico. D’altro canto, però, questa evoluzione della medicina moderna ha condotto ad un tipo di approccio sempre più centrato sulla specifica malattia (disease centered approach), rischiando così di ridurre la medicina stessa alla mera applicazione di una tecnica [1] e trasformando il rapporto medico-paziente in una “prestazione di servizi”, senza tener conto che esso dovrebbe essere innanzitutto “attenzione ad una persona”. Tale approccio rischia di essere inevitabilmente centrato sul medico, detentore del sapere biomedico basato su protocolli e linee guida, e non sul paziente (secondo un criterio di patient centered approach), [1] che in questo contesto non può far altro che affidarsi a chi si dovrebbe prendere cura di lui. In realtà bisognerebbe sempre tener presente che ogni richiesta di cura racchiude non soltanto una semplice richiesta di aiuto tecnico, ma anche un’esigenza di relazione, la quale si instaura fin dal primo contatto. Particolare attenzione dovrebbe quindi essere posta già a partire dall’accoglienza del paziente. Molto spesso il ricovero viene vissuto negativamente, sia per il timore della malattia in sé, sia per il disagio che si può generare dal ricovero stesso. È importante quindi non focalizzare l’attenzione solo sulla malattia che ha condotto in ospedale il paziente, ma anche e soprattutto sull’individuo che ci si trova davanti, su quali sono i suoi bisogni in quanto persona, prima che come malato. Un’integrazione degli aspetti biomedici e psicosociali della cura può essere ottenuta solo attraverso il patient centered approach [2]. Il punto cruciale di questo tipo di approccio risiede nella relazione medico-paziente che si avvale della comunicazione, sia essa verbale o non verbale, come strumento di avvicinamento delle due parti. Tramite una comunicazione efficace si favorisce la raccolta delle informazioni migliorando il processo diagnostico [2], la soddisfazione del paziente [3] e nel complesso il successo terapeutico [4]. Inoltre è fondamentale che il medico sappia creare un clima di dialogo, in cui il paziente abbia l’opportunità di porre domande ed esprimere i propri dubbi e le proprie paure: solo in questo contesto il paziente potrà acquisire tutte le informazioni di cui necessita riguardo la propria condizione, in modo da arrivare ad una comprensione ed accettazione più profonde del proprio status [1], necessarie per una corretta compliance ed aderenza al trattamento [2]. Il ruolo del medico è quindi quello di saper valutare non solo la malattia, ma complessivamente la storia del singolo paziente [5], i suoi bisogni e le sue aspettative [2, 5, 6], il suo livello di comprensione, il suo bisogno di informazione, e la sua volontà di prender più o meno parte al processo decisionale [6], in una continua “negoziazione” con lui al fine di giungere ad un accordo che soddisfi entrambe le parti [2]. Uno sforzo per il futuro potrebbe essere quello di integrare i due tipi di approccio, quello centrato esclusivamente sulla malattia e quello centrato sul paziente, focalizzando l’attenzione sul ruolo chiave rivestito dalla comunicazione medico-paziente [6]. Risulta quindi di fondamentale importanza favorire, all’interno della formazione medica, non solo l’acquisizione di nozioni tecnico-biomediche, ma anche di specifiche abilità comunicative, ad esempio tramite la partecipazione ad esercitazioni condotte da personale con esperienza in ambito psicologico, sociologico, antropologico o educativo [7]. BIBLIOGRAFIA 1. Bensing JM, Tromp F, van Dulmen S, van den Brink-Muinen A, Verheul W, Schellevis G. Shifts in doctor-patient communication between 1986 and 2002: a study of videotaped General Practice consultations with hypertension patients. BMC Fam Pract 2006,7:62 2. Kern DE, Branch WT, Jackson JL, Brady DW, Feldman MD, Levinson W, Lipkin M. Theaching the psychosocial aspects of care in the clinical setting: practical recommendations. Acad Med 2005;80:8-20 3. Williams S, Wienman J, Dale J. Doctor-patient communication and patient satisfaction: a review. Family Practice 1998;15:480-92 4. Stewart MA. Effective physician-patient communication and health outcomes: a review. CMAJ 1995;152(9):1423-33 5. Kaba R, Sooriakumaran P. The evolution of the doctor-patient relationship. International Journal of Surgery (2007) 5;57-65. 6. Bensing J. Bridging the gap. The separate worlds of evidence-based medicine and patient-based medicine. Patient Education and Counseling 2000;39:17-25 7. Brown J. How clinical communication has become a core part of medical education in UK. Medical Education 2008;42:271-278
2009
C. Benedetto; I. Castagnoli Gabellari; R. De Fazio; G. Pettinau
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