Di fronte all’urgenza della crisi ecologica, la cultura ambientale ci richiama alla necessità di rivedere un dualismo: quello tra natura e cultura. Se infatti è vero che l’essere umano è l’unico “animale culturale”, allora forse è doveroso cercare di costruire tra le forme di questa cultura e la vita della natura una dialettica non tanto di separazione e superamento, ma piuttosto di coappartenenza e conservazione reciproca. A questo scopo, varie sono le strategie possibili. Quella che io intendo proporre è quella elaborata dai teorici dell’ecocriticism. L’ecocriticism o ecologia letteraria è una corrente della critica letteraria nata in America alla fine degli anni ’80 con l’intento di studiare le “interconnessioni tra natura e cultura, in particolare gli artefatti culturali di linguaggio e letteratura” (Glotfelty). Ma al fondo dell’ecocriticism vi è un interrogativo “darwiniano” che unisce cultura ed ecologia: è possibile pensare alle attività poietiche, e alla letteratura in particolare, nei termini di una strategia evolutiva? In che modo, cioè, la letteratura influisce sulla sopravvivenza della specie umana e ne determina il successo? Questa domanda però ne richiama subito un’altra: e cioè, se la letteratura e la cultura sono una strategia evolutiva, è possibile “orientare” quest’evoluzione? È possibile un’evoluzione consapevole, in cui l’interazione con l’ambiente sia mediata da un sistema esteso di valori? Si può costruire un umanesimo “non antropocentrico”, che alla centralità dell’umano preferisca un’etica dell’apertura e dell’inclusività? Sono, questi, la sfida e il senso di un’etica della cultura ambientale, e di riflesso dell’ecologia letteraria: un umanesimo non antropocentrico, infatti, è possibile solo riconoscendo alle forme di vita umane e non umane un valore che ne consenta la conservazione. Per questo, la diffusione e l’elaborazione di un’etica del valore della natura non passa solo attraverso analisi teoriche, ma anche attraverso la creazione di nuove strategie educative. Una cultura ambientale che ci insegni a guardare oltre il dualismo di umanità e natura è, in questo senso, una forma di evoluzione consapevole, perché individua criticamente nuovi valori, e rendendoli manifesti può orientare l’agire umano verso un’interazione responsabile con l’ambiente in cui questo agire si dà. Si può, in tal modo, superare una visione deterministica che vede la competizione come inevitabile, offrendo a entrambi i termini le maggiori chances di sopravvivenza. Una interazione responsabile è quella che, anziché contrapporre umanità e natura come due elementi di un’antitesi, aiuta a riconoscere la contraddizione tra comportamenti conservativi e comportamenti (auto-)distruttivi. Individuando nei primi l’unica chiave di sopravvivenza possibile tale interazione è, di per se stessa, un’evoluzione consapevole. In questa dinamica, una letteratura che abbia alle spalle un’etica della cultura è uno strumento evolutivo, perché mette in luce e diffonde tale consapevolezza. E lo fa dando rappresentazione letteraria ai valori che un confronto non squilibrato con la natura rende evidenti: i valori legati alla differenza, alla cura, alla possibilità di rapporti che in linea di principio si configurino come inclusivi e non gerarchici. Ciò presuppone due cose strettamente interconnesse: la prima è l’abbattimento delle vecchie mitologie e delle immagini culturali che hanno portato al consolidarsi di modelli ecologicamente distruttivi; la seconda è la costruzione e la ricerca di nuove narrative, la costruzione cioè di una cultura capace di rapportarsi in maniera inclusiva e dialettica verso la differenza. L’abbattimento delle vecchie mitologie coincide con quello che Lyotard chiama il rifiuto dei “grandi racconti”: un’etica della cultura che nasca sulle premesse di un umanesimo aperto alla differenza è uno strumento di pacificazione e rigetta, di per sé, la categoria di necessità a favore dell’idea di un costruttivismo intersoggettivo, o se si preferisce di una “speranza sociale” (Valsania). Quest’etica è quella che, in altre parole, rinuncia agli orizzonti deresponsabilizzanti e falsamente rassicuranti delle grandi costruzioni ideologiche o dei “poteri al potere” (Freire), e riporta l’individuo in una dimensione di libertà condivisa. È un’etica che rompe l’isolamento del singolo (così funzionale al perpetuarsi dello status quo) e lo riconsegna alla sfera pubblica, alla condizione umana che, come voleva Hannah Arendt, è proprio quella del parlare insieme e dell’agire di concerto. In questa sfera pubblica anche l’ambiente è un valore in sé e un valore condiviso, e dunque una dimensione in cui la differenza può essere incontrata e conosciuta. Se dunque l’ambiente, come luogo di differenza con-vissuta, è dotato di valore, questo implica e converso la valorizzazione (e la ricerca) della differenza. Perciò, ai “grandi racconti” delle ideologie tradizionali si sostituisce la ricerca e la valorizzazione delle narrative minori, locali, periferiche: che sono le storie (e quindi la richiesta di riconoscimento e legittimazione) di coloro e di ciò che, in una prospettiva in cui la storia è costruzione di un orizzonte unico e gerarchico, è rimasto escluso dal racconto. Sono i “senza storia”: gli umani “marginali” e “differenti” (dalle donne ai colonizzati, dagli omosessuali ai diversamente abili). Ma anche ciò che è portatore di una differenza radicale: la natura. L’ecologia letteraria e l’ecocriticism riportano nell’ordine del racconto (e quindi richiamano nella storia) questa differenza, e insieme cercano di seguirla nelle sue rappresentazioni, nelle sue immagini culturali. Ma tutto ciò presuppone un’idea etica della cultura come strumento di “evoluzione consapevole”, che educhi l’umano alla consapevolezza della sua interdipendenza con la natura. È, questa, un’idea di cultura come opportunità che gli individui e la società hanno di ricreare le proprie “mitologie”, di raccontarsi sempre nuovamente e di dar forma a futuri auspicabili e inclusivi, proiettandosi dalla sfera della necessità a quella, attiva e creativa, della libertà.

Ambiente, cultura e stili di vita

IOVINO, Serenella
2007-01-01

Abstract

Di fronte all’urgenza della crisi ecologica, la cultura ambientale ci richiama alla necessità di rivedere un dualismo: quello tra natura e cultura. Se infatti è vero che l’essere umano è l’unico “animale culturale”, allora forse è doveroso cercare di costruire tra le forme di questa cultura e la vita della natura una dialettica non tanto di separazione e superamento, ma piuttosto di coappartenenza e conservazione reciproca. A questo scopo, varie sono le strategie possibili. Quella che io intendo proporre è quella elaborata dai teorici dell’ecocriticism. L’ecocriticism o ecologia letteraria è una corrente della critica letteraria nata in America alla fine degli anni ’80 con l’intento di studiare le “interconnessioni tra natura e cultura, in particolare gli artefatti culturali di linguaggio e letteratura” (Glotfelty). Ma al fondo dell’ecocriticism vi è un interrogativo “darwiniano” che unisce cultura ed ecologia: è possibile pensare alle attività poietiche, e alla letteratura in particolare, nei termini di una strategia evolutiva? In che modo, cioè, la letteratura influisce sulla sopravvivenza della specie umana e ne determina il successo? Questa domanda però ne richiama subito un’altra: e cioè, se la letteratura e la cultura sono una strategia evolutiva, è possibile “orientare” quest’evoluzione? È possibile un’evoluzione consapevole, in cui l’interazione con l’ambiente sia mediata da un sistema esteso di valori? Si può costruire un umanesimo “non antropocentrico”, che alla centralità dell’umano preferisca un’etica dell’apertura e dell’inclusività? Sono, questi, la sfida e il senso di un’etica della cultura ambientale, e di riflesso dell’ecologia letteraria: un umanesimo non antropocentrico, infatti, è possibile solo riconoscendo alle forme di vita umane e non umane un valore che ne consenta la conservazione. Per questo, la diffusione e l’elaborazione di un’etica del valore della natura non passa solo attraverso analisi teoriche, ma anche attraverso la creazione di nuove strategie educative. Una cultura ambientale che ci insegni a guardare oltre il dualismo di umanità e natura è, in questo senso, una forma di evoluzione consapevole, perché individua criticamente nuovi valori, e rendendoli manifesti può orientare l’agire umano verso un’interazione responsabile con l’ambiente in cui questo agire si dà. Si può, in tal modo, superare una visione deterministica che vede la competizione come inevitabile, offrendo a entrambi i termini le maggiori chances di sopravvivenza. Una interazione responsabile è quella che, anziché contrapporre umanità e natura come due elementi di un’antitesi, aiuta a riconoscere la contraddizione tra comportamenti conservativi e comportamenti (auto-)distruttivi. Individuando nei primi l’unica chiave di sopravvivenza possibile tale interazione è, di per se stessa, un’evoluzione consapevole. In questa dinamica, una letteratura che abbia alle spalle un’etica della cultura è uno strumento evolutivo, perché mette in luce e diffonde tale consapevolezza. E lo fa dando rappresentazione letteraria ai valori che un confronto non squilibrato con la natura rende evidenti: i valori legati alla differenza, alla cura, alla possibilità di rapporti che in linea di principio si configurino come inclusivi e non gerarchici. Ciò presuppone due cose strettamente interconnesse: la prima è l’abbattimento delle vecchie mitologie e delle immagini culturali che hanno portato al consolidarsi di modelli ecologicamente distruttivi; la seconda è la costruzione e la ricerca di nuove narrative, la costruzione cioè di una cultura capace di rapportarsi in maniera inclusiva e dialettica verso la differenza. L’abbattimento delle vecchie mitologie coincide con quello che Lyotard chiama il rifiuto dei “grandi racconti”: un’etica della cultura che nasca sulle premesse di un umanesimo aperto alla differenza è uno strumento di pacificazione e rigetta, di per sé, la categoria di necessità a favore dell’idea di un costruttivismo intersoggettivo, o se si preferisce di una “speranza sociale” (Valsania). Quest’etica è quella che, in altre parole, rinuncia agli orizzonti deresponsabilizzanti e falsamente rassicuranti delle grandi costruzioni ideologiche o dei “poteri al potere” (Freire), e riporta l’individuo in una dimensione di libertà condivisa. È un’etica che rompe l’isolamento del singolo (così funzionale al perpetuarsi dello status quo) e lo riconsegna alla sfera pubblica, alla condizione umana che, come voleva Hannah Arendt, è proprio quella del parlare insieme e dell’agire di concerto. In questa sfera pubblica anche l’ambiente è un valore in sé e un valore condiviso, e dunque una dimensione in cui la differenza può essere incontrata e conosciuta. Se dunque l’ambiente, come luogo di differenza con-vissuta, è dotato di valore, questo implica e converso la valorizzazione (e la ricerca) della differenza. Perciò, ai “grandi racconti” delle ideologie tradizionali si sostituisce la ricerca e la valorizzazione delle narrative minori, locali, periferiche: che sono le storie (e quindi la richiesta di riconoscimento e legittimazione) di coloro e di ciò che, in una prospettiva in cui la storia è costruzione di un orizzonte unico e gerarchico, è rimasto escluso dal racconto. Sono i “senza storia”: gli umani “marginali” e “differenti” (dalle donne ai colonizzati, dagli omosessuali ai diversamente abili). Ma anche ciò che è portatore di una differenza radicale: la natura. L’ecologia letteraria e l’ecocriticism riportano nell’ordine del racconto (e quindi richiamano nella storia) questa differenza, e insieme cercano di seguirla nelle sue rappresentazioni, nelle sue immagini culturali. Ma tutto ciò presuppone un’idea etica della cultura come strumento di “evoluzione consapevole”, che educhi l’umano alla consapevolezza della sua interdipendenza con la natura. È, questa, un’idea di cultura come opportunità che gli individui e la società hanno di ricreare le proprie “mitologie”, di raccontarsi sempre nuovamente e di dar forma a futuri auspicabili e inclusivi, proiettandosi dalla sfera della necessità a quella, attiva e creativa, della libertà.
2007
Serenella Iovino
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/65752
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